Baku modello di tolleranza, in moschea “preghiera dell’unità”

Baku modello di tolleranza, in moschea “preghiera dell’unità”
Università islamica di Baku
28 gennaio 2019

Quando venne fondata, nel 1989, l’Università islamica di Baku per ogni studente sciita ne ammetteva anche uno sunnita. E nell’imponente Moschea Heydar oggi si pratica la ‘preghiera dell’unità’: sciiti e sunniti assieme, iniziativa voluta dal presidente azero Ilham Aliyev, che Hadji Sabir Hasanli rivendica come un “nostro successo” e in qualche modo suo “metodo personale”. L’amministratore della Moschea, nonché Rettore dell’Università islamica e Vice-sceicco del Comitato Musulmani del Caucaso sostiene che “non ci devono essere queste divisioni, perché le divisioni ci sono in tutte le religioni e puntualmente c’è chi le sfrutta”.

Convinzione condivisa ai vertici dello Stato. Poiché questo approccio è anche un investimento in termini di sicurezza e di coesione di una società da sempre multietnica e multiculturale, che con la fine dell’URSS e l’indipendenza di Baku è tornata ufficialmente alla sua dimensione di maggioranza musulmana: 60 per cento sciiti e 40 per cento sunniti su una popolazione di quasi 10 milioni di abitanti, di cui oltre il 90 per cento si dichiara musulmano. Un mix potenzialmente esplosivo, sommato alle minoranze ebree e cristiane, per cui la tolleranza è una necessità di Stato. E a vedere come funzionano le cose nella capitale azera, il “modello azero” funziona. “Qui non ci sono stati mai problemi, assicura Hasanli, orgoglioso della visita di Papa Francesco due anni fa nella sua moschea,, da dove il Pontefice ha lanciato il messaggio: “mai più violenza in nome di Dio”.

Papa Bergoglio durante il suo viaggio a Baku a ottobre 2016 si è recato naturalmente nell’unica chiesa cattolica, a celebrare messa. Nella Chiesa dell’Immacolata Concezione Vladimir Baksa, prete arrivato dalla Slovacchia, oggi ricorda “l’inizio del grande sviluppo” con l’arrivo di Giovanni Paolo Secondo ancora nel 2002: “la gente allora ha scoperto che in Azerbaigian ci sono anche i cattolici”, racconta il sacerdote, e “posso dire che qui c’è molta gente che cerca Dio, che si interessa alla religione. I cattolici sono pochi e per questo la loro integrazione non è così facile, ma c’è un Concordato tra Vaticano e Azerbaigian che ci permette di fare attività religiosa”. L’Immacolata Concezione di Baku sorge dove un tempo c’era una chiesa cattolica fatta poi abbattere dai sovietici in epoca staliniana. A metà anni novanta, con l’Azerbaigian già indipendente, i Salesiani hanno chiesto al Vaticano di potere acquistare una casa per avere una piccola cappella. Poi la svolta con la visita di Giovanni Paolo Secondo e la costruzione della nuova chiesa, finanziata in buona parte dallo Stato, oltre che da offerte, compresa una donazione dalla comunità musulmana.

Don Bakhsa la amministra da otto anni , la parrocchia (intitolata a Cristo Salvatore) è frequentata regolarmente da 150 persone, a fronte di 300 cattolici che vivono in Azerbaigian. In tutto sono 600 che fanno riferimento alla chiesa, ma sono in buona parte stranieri e nel Paese sul Caspio si trovano per lavoro. Le moschee in Azerbaigian oggi sono 2300 e lo Stato fa bene attenzione che non sviluppino legami a rischio radicalismo, magari tramite finanziamenti. “Qui le moschee sono considerate monumenti storici e sono finanziate dal governo”, spiega Hasanli, gli stipendi degli imam sono pagati dallo Stato, qui a differenza di molti altri Paesi non esistono le donazioni ‘libere’: è un nuovo modello di rapporto tra Stato e religione, e stiamo attenti anche a dove mandare gli studenti della nostra Università islamica: niente Arabia Saudita, niente Iran”, ad esempio. “Noi facciamo del nostro meglio, purtroppo molti paesi musulmani oggi sono sotto l’influenza di altri Paesi, qui invece non ci sono e non abbiamo mai avuto problemi” e la partecipazione alla vita della moschea continua a crescere.

“No problem” neppure sul fronte ebraico. A Baku ci sono tre sinagoghe, che fanno riferimento alle diverse comunità: Ebrei della Montagna (o del Caucaso), ebrei europei (aschenaziti) ed ebrei georgiani, in tutto nel Paese caucasico circa 30mila, per nove sinagoghe, anche queste finanziate dal governo. Antisemitismo di ritorno? “Qui non è un problema oggi, come non lo è mai stato. Certo guardiamo cosa accade in Europa, nel mondo, e ci preoccupiamo”, afferma il rabbino della sinagoga degli Ebrei della Montagna, Yakubo Avrakham. “Viviamo qui da oltre 25 secoli, all’epoca queste terre erano impero persiano, e oggi siamo liberi di praticare la nostra religione, mentre se vado in Gran Bretagna mi ritrovo con la scorta”, rilancia Melik Yevdaev, capo della Comunità degli Ebrei della Montagna. Convinto che “sarebbe anche ora” di unire le tre comunità ebraiche, ma ci sono problemi amministrazione, differenze nel rito e nelle tradizioni. “Noi ad esempio ci sposiamo una sola volta – dice – e a mio nipote che si lamenta di mia moglie che ha preso a trattarlo male posso dire: beh, sono 40 anni che tratta male me, a te è andata meglio”. askanews

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