E’ morto Philippe Leroy, dalla legione straniera al successo di Cinecittà

E’ morto Philippe Leroy, dalla legione straniera al successo di Cinecittà
Philippe Leroy
2 giugno 2024

Con la scomparsa di Philippe Leroy a Roma, il mondo del cinema e della cultura perde una leggenda, un autentico personaggio che ha segnato un’epoca sia sul grande che sul piccolo schermo. Philippe Leroy-Beaulieu, 93enne, era malato da tempo. L’attore francese, nato a Parigi il 15 ottobre 1930, ha all’attivo quasi 200 apparizioni tra film e sceneggiati, dall’esordio in “Il buco” di Jacques Becker (1960) fino agli ultimi successi, come il Vescovo nella fiction “Don Matteo” e il suo ultimo saluto al cinema con “La notte è piccola per noi” di Francesco Lazotti nel 2019.

Nato a Parigi il 15 ottobre 1930 come Philippe Leroy-Beaulieu, Leroy proveniva da una famiglia aristocratica con una tradizione militare e diplomatica di sei generazioni. Nonostante il titolo di marchese, fin da giovane mostrò disinteresse per le convenzioni sociali, preferendo l’avventura e l’azione. A soli 17 anni si imbarcò come mozzo su una nave per l’America, emulando i personaggi dei romanzi di Joseph Conrad. Dopo il rientro in patria, si arruolò nella Legione Straniera, combattendo in Indocina e Algeria come paracadutista, anche se non si lancerà mai da un aereo fino ai 50 anni. Tornò dall’Algeria con il grado di capitano e decorato con due legioni d’onore e una croce al valore.

Tuttavia, capì presto che era meglio trovare un lavoro, fosse anche al circo o come pilota di bob o navigatore sulle barche off-shore. Un parente lo introdusse al cinema e Jacques Becker, colpito dal suo fisico asciutto e dall’aria vissuta, lo arruolò nel cast de “Il buco”, regalandogli un successo internazionale. Alla vigilia dell’indipendenza dell’Algeria, il clima in Francia si fece pesante e Leroy, poco più che trentenne, decise di lasciare il paese. Grazie alle coproduzioni tra Italia e Francia, riuscì a ottenere alcuni ruoli, aiutato da Vittorio Caprioli e Franca Valeri. Caprioli gli offrì un ruolo in “Leoni al sole” (1961), sfruttando la sua naturale eleganza e il portamento aristocratico. Da quel momento, il cinema italiano lo adottò, facendolo diventare una figura ricorrente: gentiluomo raffinato da una parte, antagonista spietato dall’altra.

Il grande successo arrivò nel 1965 con “Sette uomini d’oro” di Marco Vicario, dove interpretò il cervello di una banda di rapinatori. Il film fu un campione d’incassi e gli fruttò anche un sequel. La televisione gli offrì una seconda svolta nella carriera: Renato Castellani lo scelse per interpretare Leonardo da Vinci nello sceneggiato omonimo del 1971. Cinque anni dopo, divenne una vera star interpretando il portoghese Yanez de Gomera in “Sandokan” di Sergio Sollima, amato da 30 milioni di spettatori a puntata. Nonostante le esperienze teatrali e cinematografiche con registi come Godard, Comencini, Luigi Magni, Jacques Deray, Dario Argento e Luc Besson, fu la televisione a offrirgli i ruoli migliori. È giusto ricordarlo in “Quo vadis?”, “Il generale”, “Elisa di Rivombrosa”, “L’ispettore Coliandro” e “I Cesaroni”.

Fuori dal set, la sua vita era altrettanto avventurosa. Dopo i 50 anni, abbracciò la passione per il paracadutismo, con oltre 2000 lanci fin dopo gli 80 anni. Nel 2011 fece l’osservatore in Afghanistan con il contingente italiano. Amava trascorrere il tempo a casa, scrivendo poesie, dipingendo e costruendo mobili. “Ho costruito con le mie mani cinque case. Nell’ultima – ricordava a 90 anni – un borgo incantato sulla via Cassia in cui ho vissuto con mia moglie Silvia (figlia di Enzo Tortora, scomparsa nel 2022) e con la mia famiglia. Non c’è un pezzo di plastica, ma tutti mobili e oggetti in legno che ho lavorato, pezzo a pezzo. Come la mia vita…”. Con lui se ne va un protagonista austero e ironico di una stagione del cinema e della storia. Philippe Leroy era un mito, con la sua voce roca e sorniona, il fisico scolpito come un ulivo antico, il distacco elegante con cui raccontava la sua vita da eroe conradiano.

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