Torino, storia di una mostra per una sola persona nella Mole

Torino, storia di una mostra per una sola persona nella Mole
30 dicembre 2016

Un sorteggio attraverso delle tavolette di cioccolato, il libro di Jules Verne “Viaggio al centro della Terra”, la guglia della Mole Antonelliana e il lavoro di un artista spagnolo – Alvaro Urbano – letto attraverso lo sguardo sempre originale del gruppo torinese di Treti Galaxie. Non è semplice spiegare che cosa è stata la mostra “I”, ma alcuni parametri sono indiscutibili: innanzitutto il luogo, vorticoso e unico; quindi il fatto che si è trattato di una mostra personale, ma questa volta non nel senso di dedicata a un unico artista, bensì a un unico spettatore, scelto, tra quanti si erano registrati online, attraverso il sorteggio del cioccolato. Il curatore Matteo Mottin, dentro la guglia, ha provato a riassumere così l’esposizione. “Qua – ci ha detto – stiamo vedendo un rituale, in fondo. Alvaro ha questo progetto di costruire tutte le lettere del crittogramma di Viaggio al centro della Terra in cemento armato o materiali reperibili in loco in varie parti del mondo. Qui, all’interno della guglia della Mole vediamo tutto questo riunito in un unico luogo e per un’unica persona che ha fatto questa esperienza”.

E la persona che, nell’unica ora di durata della mostra, ha potuto attraversare quello spazio verticale sopra il Museo Nazionale del cinema, che diventava metafora anche della discesa nel centro della Terra, ha poi raccontato così la propria emozione: “Rimane un po’ un viaggio a parte, all’interno di un percorso che è già di per sé un viaggio, un viaggio che è un po’ un sogno”. Un sogno che è anche quello del progetto Treti Galaxie, portato avanti insieme a Mottin da Ramona Ponzini e Sandro Mori, che dopo una mostra dedicata a un pubblico di uccelli e un’altra nella quale una sorta di Fiume infernale divideva in due lo spazio espositivo, ora ribaltano un’altra volta l’idea stessa di esposizione. Con la medesima grazia irriverente che aveva contraddistinto, per fare qualche nome, le mostre di Piero Manzoni, Yves Klein o Joseph Beuys. E con una relazione decisiva con lo spazio. “È un altro concetto di site-specific, di mind-specific quasi”, ha concluso Mottin. E il senso della mostra fa un ulteriore passo avanti.

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