Una maggioranza “Ursula”, anzi “Orsola”; per l’ex premier e padre nobile del Pd, Romano Prodi, lo sbocco ideale della crisi sarebbe la declinazione italiana della maggioranza che a Strasburgo, solo qualche settimana fa, ha consentito a Ursula von der Leyen di diventare presidente della Commissione. Un voto che ha visto i grillini, a sorpresa, schierarsi assieme a Popolari e socialdemocratici, e non a caso e’ stato additato dal leader leghista Matteo Salvini come uno dei motivi principali della crisi con l’alleato di governo. Ma Prodi, in perfetto ossequio al cosiddetto “lodo Bettini”, sottolinea che non dovra’ trattarsi di un accordo al ribasso, di un “governicchio” di piccolo cabotaggio e breve durata, bensi’ di un patto di legislatura “alla tedesca” con un progetto di lunga durata, “sottoscritto in modo preciso da tutti i componenti della coalizione”. “E’ un compito difficilissimo – osserva Prodi – ma non impossibile. E’ stato messo in atto in Germania”.
Inevitabile, per il Professore, dribblare la situazione interna al Pd, dove l’innesco della crisi ha messo in evidenza una differenza sostanziale di vedute tra il segretario Nicola Zingaretti e l’ex-segretario Matteo Renzi. Sebbene appoggi apertamente la linea dell’accordo organico coi grillini, Prodi insiste sulla necessita’ di evitare strappi o, peggio ancora, scissioni nel Dem, qualunque sia la scelta finale: “Ho un’idea ben chiara – dice – sulla necessita’ di aprire un dibattito nell’ambito del partito democratico, cosi’ che la posizione prevalente possa portare avanti in modo deciso e fermo le decisioni prese, senza che esse vengano continuamente messe in discussione, anche con ipotesi di scissione”. Ma un’intervista concessa da Renzi al Giornale sembra accrescere la diffidenza del gruppo dirigente del Nazareno nei confronti dell’ex segretario e sulle sue mosse future.
Ribadendo il proprio impegno per un governo istituzionale e allargando l’invito a Forza Italia (tanto da affermare che tra Berlusconi e Salvini c’e’ “un abisso” sul senso delle istituzioni), Renzi, in un passaggio, preconizza, in caso di avvio di un esecutivo “giallorosso”, una possibile ragione di attrito tra Dem e grillini, mettendo in guardia sul rischio di “grillinizzazione della sinistra”: “E’ il grande rischio – spiega – di questa operazione”, prima di rimandare tutti all’appuntamento per la Leopolda, a meta’ ottobre. “Voteremo la fiducia – afferma Renzi – non chiederemo neppure uno strapuntino per noi e faremo proposte concrete per mettere in sicurezza l’Italia. Poi faremo il punto alla Leopolda”. Non solo, Renzi spiega in un tweet polemico con Matteo Salvini di non voler entrare a far parte dell’eventuale governo “anti-Iva”.
Un passaggio che, verosimilmente, non e’ piaciuto all’entourage zingarettiano, e che viene immediatamente preso da Carlo Calenda come indizio per un futuro sabotaggio dell’eventuale governo Pd-M5s e della segreteria Zingaretti. Su twitter, infatti, l’ex ministro dello Sviluppo economico pronostica che “Renzi prende il tempo per far fuori Zingaretti o farsi il suo partito, resta fuori dal governo, fa cadere il governo appena raggiunto uno dei due obiettivi, la scusa sara’ che la sinistra si sta grillinizzando” e aggiunge sarcastico: “Accetto scommesse”. In questo contesto, aspettando l’evoluzione delle prossime ore e l’esito del cruciale dibattito parlamentare del 20 al Senato, permane nel Pd una spaccatura che per ora gli attori in campo sono riusciti a mantenere, seppure con qualche affanno, sottotraccia, ma che difficilmente potra’ essere dissimulata il 21, giorno della direzione.