106 giorni di durata, 18mila km, 30 tappe con 4 scali tecnici per un totale di 34 atterraggi e 112 ore di volo alla velocità media di 160 km/h. Sono i numeri del raid aereo Roma-Tokyo, la storica impresa compiuta esattamente 100 anni fa, dal 14 febbraio al 31 maggio 1920, con 2 biplani Ansaldo SVA-9, dai piloti dell’Aeronautica militare italiana Arturo Ferrarin e Guido Masiero, accompagnati dai motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto. Il raid rimasto nella storia dell’aviazione – ripreso da queste immagini d’epoca gelosamente conservate negli archivi dell’Aeronautica militare – nacque da un’idea del “vate” Gabriele d’Annunzio, poeta e pilota egli stesso.
Si trattò, per l’epoca, di un autentico atto eroico, anche perché gli aeroplani utilizzati erano davvero spartani rispetto a quelli moderni; velivoli in legno e tela con abitacolo aperto che esponeva l’equipaggio alle intemperie e motori poco adatti agli sbalzi di temperatura. Inoltre a bordo non c’era la radio e la navigazione veniva effettuata a vista, solo con bussola, cartina e orologio. Anche per questo, all’arrivo a Tokyo i due equipaggi vennero accolti da una folla di oltre 200mila persone. Per celebrare l’impresa italiana, il Giappone decretò 42 giorni di festeggiamenti e gli aviatori furono invitati al Palazzo Imperiale.
La felice conclusione del raid celebrò non solo l’eroismo dei due equipaggi ma anche l’efficienza dell’industria aeronautica italiana. Due curiosità: gli aerei che arrivarono in Giappone non furono gli stessi che partirono dall’Italia; Masiero infatti, in seguito a incidenti, cambiò 2 volte aereo con altrettanti “muletti” a Calcutta e a Shanghai. L’aereo di Ferrarin, invece, dopo l’atterraggio rimase in Giappone, al Museo Imperiale delle Armi di Osaka, dove però andò distrutto durante la seconda guerra mondiale.