Politica

La Bindi lascia la poltrona. Evviva!

L’annuncio è il segno che un’era geologica si sta chiudendo e spingerebbe una buona fetta di elettori a stappare le bottiglie di spumante, anche se in politica la prudenza non è mai troppa. Rosy Bindi l’ha detto chiaro e tondo in un’intervista al “Fatto quotidiano”: “Ho lavorato in questo Palazzo (il Parlamento, ndr) per ventitr é anni, e prima ancora altri cinque a Strasburgo. La passione mi ha tenuta viva e integra. Fare politica non è un mestiere, ed è impossibile servirla senza quel fuoco che arde. Finita questa legislatura lascerò il campo”. L’argomentazione sembrerebbe richiamare la più classica vicenda della volpe e l’uva (a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca diceva Andreotti), visto che difficilmente la Bindi potrebbe essere candidata di nuovo dal Pd a trazione renziana. Anche per questo non è strano che accusi l’ex premier, rivendicando addirittura il tentativo di ostacolarlo già da quando scalò il partito per candidarsi a sindaco di Firenze. Peccato che, in quell’occasione, Renzi vinse le primarie con 15 mila voti. Ma evidentemente per la Bindi la volontà degli iscritti, cioè la democrazia, è un dettaglio: “Ho guardato con preoccupazione l’ascesa di Renzi – ribadisce – Sono stata tra i pochi ad essere contraria alla decisione di Bersani di modificare lo statuto per permettergli di candidarsi alla presidenza del Consiglio”.

Chiaramente la Bindi non è mai sfiorata dal dubbio che le tensioni politiche e sociali che attraversano la nostra società siano state provocate anche dalla cattiva politica di chi, come lei, è rimasto quasi trent’anni nel Palazzo senza riuscire a migliorare le cose (anzi). Lei rigetta ogni responsabilità: “Non è messa bene la politica. Di fronte a sfide inedite come il terrorismo, l’immigrazione e le disuguaglianze crescenti, questo sembra un tempo senza pensiero e senza prospettive per il futuro, con leadership inquietanti da Trump a Putin. Non solo da cattolica ma da politica mi sento di affermare che l’unico punto di riferimento è papa Francesco, per quello che dice e che fa”. Ma dove è stata la Bindi negli ultimi 28 anni? Verrebbe la voglia di strillare. Lei non risparmia la stoccata ai grillini: “Non fanno parte di una comunità, non hanno linguaggi e idee condivise”, dice. E il Pd? Per Rosy il problema è soltanto che “troppo spesso sembriamo inseguirli sul loro terreno. Ieri sullo streaming e sui costi della politica e oggi sulla legge elettorale. Al mio paese si chiama sudditanza”.

Ci risiamo. Un po’ di autocritica da chi ha passato tutto questo tempo in politica e si ritrova in un Paese in ginocchio sembrerebbe il minimo. Ma niente. Eppure dove la Bindi si supera è quando parla del suo atteggiamento nel suo incarico attuale: “Ho scelto di esercitare il mio ruolo istituzionale di presidente della commissione Antimafia. (…) In questi anni ho concentrato le mie energie a far lavorare bene la commissione nel contrasto alle mafie e alla corruzione che deve diventare una priorità”. Anche qui la Bindi dimentica il “processo” al sindaco Raggi e all’allora assessore all’Ambiente, in cui la domanda più in voga fu “Avete avvertito dell’indagine i vertici del vostro partito?” benché si doveva discutere di mafie infiltrate nel ciclo dei rifiuti. O quando ha spedito i finanzieri a sequestrare centinaia di volumi con le iscrizioni a quattro logge della massoneria benché i gran maestri delle rispettive obbedienze si fossero messi a disposizione. O ancora quando la Commissione ha cavalcato l’inchiesta della Procura di Torino sulle presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nella curva della Juventus. Ha convocato pure Andrea Agnelli. In effetti è l’ora di guardare altrove, anche per la Bindi. “Ma non mi ritirerò a vita privata (…). Vedo un gran bisogno di formazione alla politica”. Oddio, ci sarà pericolo?

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