Un cimitero di 2.700 anni fa è stato portato alla luce nell’area archeologica di Ostia. Si tratta di un ritrovamento particolarmente importante che testimonia l’apertura culturale dell’antico porto e la sostanziale libertà di culto e di scelta di quanti vi abitavano. Le tombe rinvenute, infatti, pur riferendosi alla stessa casata, documentano sia la tumulazione sia la cremazione dei corpi e sono addossate ad un importante monumento funerario. Così racconta Michele Raddi, l’archeologo responsabile degli scavi. “Abbiamo individuato una serie di sepolture che si addossano a questo monumento funerario. Si tratta di tipologie di sepolture differenziate per cronologia e tipologia. Va quindi ora studiata questa cosa importante, e nuova da capire: per quale motivo si addossano a questo monumento di età tardo repubblicana riutilizzata poi in epoca tardo antica”. Il ritrovamento – fatto in una zona a ridosso del sito archeologico principale – è il più importante da quando in aprile del 2014 gli studiosi hanno constatato che le nuove mura della città, scoperte di recente, rendevano Ostia più grande del 35 per cento di quanto si fosse fino ad ora pensato, con un’area più estesa di Pompei. Il cimitero riportato alla luce testimonia la libertà di scelta sui propri resti di cui godevano i romani fino all’avvento del cristianesimo, quando la sepoltura divenne una norma inderogabile.
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