Venti anni fa fu ucciso il piccolo Di Matteo. Brusca lo chiamava “cagnolino”

Sono trascorsi venti anni dalla morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso l’undici gennaio del 1996 dopo oltre due anni di prigionia. Il piccolo aveva 13 anni quando fu rapito e 15 quando venne ucciso brutalmente dalla mafia. Rapito, strangolato e sciolto nell’acido, quel ragazzino, con una passione straordinaria per i cavalli e chiamato a pagare la colpa di essere il figlio di un pentito, oggi e’ stato ricordato a San Giuseppe Jato, con una iniziativa che prende spunto da quella passione e che e’ stata voluta dal Coordinamento di Libera e dal Comune, presso il ‘Giardino della memoria’ di contrada Giambascio, nel casolare trasformato in prigione degli orrori. Convolti anche i bambini del paese. Per il sindaco di San Giuseppe Jato, Davide Licari, questa vicenda “resta una dolorosa ferita aperta. Un pagina atroce nella storia della nostra comunita’ e di tutto il Paese. Ma che ha segnato anche la repulsione per la mafia. E oggi San Giuseppe Jato e’ sulla strada della liberazione e tiene alta la guardia. Noi non vogliamo avere a che fare con una storia di morte, con una Cosa nostra infame e senza onore”. Il piccolo Giuseppe e’ stato ricordato anche a Palermo, presso la struttura equestre della Favorita, su iniziativa dell’amministrazione comunale di Palermo e alla presenza del sindaco, Leoluca Orlando.

Il ragazzino su strangolato e il suo corpo venne sciolto nell’acido dai suoi carnefici. Il boss Giovanni Brusca, come emerse poi dalle indagini, si riferiva all’ostaggio chiamandolo spietatamente ‘u cagnuleddu’ (il cagnolino). Era stato rapito il 26 novembre del 1993 e avrebbe compiuto quindici anni il 19 gennaio: la sua unica colpa, essere il figlio di un pentito, Santino Di Matteo, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia e a raccontare particolari sulla strage di Capaci e che la mafia voleva ricattare per farlo tacere. Secondo i racconti processuali del pentito Gaspare Spatuzza, che prese parte al sequestro il 26 novembre del 1993, i mafiosi si travestirono da poliziotti per ingannare il bambino, facendogli credere di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. “Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realta’ eravamo dei lupi. Lui era felice, diceva ‘Papa’ mio, amore mio'”, ha raccontato Spatuzza. Sono molti i filoni processuali per questo delitto. La sentenza piu’ recente e’ stata emessa dalla Corte di assise d’Appello di Palermo nel marzo del 2013, quando sono stati condannati all’ergastolo il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, il super latitante Matteo Messina Denaro, Francesco Giuliano, Salvatore Benigno e Luigi Giacalone. A Gaspare Spatuzza sono stati inflitti 12 anni in considerazione del suo contributo alle indagini.

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