25 aprile, l’identità di un popolo e lo spettro del fascismo

24 aprile 2016

Il 2 giugno, nascita della Repubblica, è sempre stata una festa di secondo piano, addirittura per molti anni si è festeggiato la domenica successiva per non perdere la giornata lavorativa, mentre il 25 aprile è l’unica festa celebrativa della nostra Repubblica. Eppure il 25 aprile 1945 vi era ancora il Regno d’Italia, ma molti non lo ricordano e non vi era ancora la Repubblica Italiana con la sua Carta costituzionale. Che strana Storia la nostra. Per chi lo ricorda, una volta si festeggiava il 4 novembre: era la data che coincideva con la fine della Prima guerra mondiale e ci vedeva seduti al tavolo dei vincitori. Poi alcuni decenni fa questa ricorrenza è stata cancellata perché definita anacronistica e senza più un senso. Ma anche lì, passammo dalla Triplice Alleanza alla Triplice Intesa dopo l’inizio del conflitto, dopo che lo Stato italiano aveva scritto e controfirmato sia accordi commerciali sia accordi militari con l’impero austro-ungarico e prussiano, era il 26 aprile 1915. Ma alla fine, per motivi opportunistici, si scelse di passare con gli imperi inglesi, francesi e russi. Ma questa è acqua passata. E si sa non macina più. Anche perché a chi potrebbe giovare ricordare i molti episodi, dopo la fine della Prima guerra mondiale, che portarono a quello che poi scaturì in Italia subito dopo, cioè il ventennio fascista, e in Europa la nascita del regime sovietico in Russia (1917 e poi i soviet negli anni ’20-’30 e la guerra fratricida tra Russia bianca e Russia rossa con le famose purghe staliniane) e quindi negli anni ’30 il nazismo in Germania, dopo il collasso della Repubblica democratica di Weimar, e poi il Franchismo in Spagna.

Eppure in Giappone, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale (agosto 1945 dopo due bombe atomiche sganciate dagli americani), non vi è una festa celebrativa che lede l’imperatore e lo stato del Sol levante. E anche in Germania, nonostante il processo di Norimberga, la divisione poi tra est e ovest e quindi la riunificazione, non è mai esistita una manifestazione irriverente dedicata a chi aveva trascinato la nazione verso il baratro. In Francia poi è rimasta come festa nazionale la presa della Bastiglia il 14 luglio, e in America il 4 luglio l’indipendenza dall’Inghilterra e non vi è una festa che inneggia alla guerra civile tra gli Stati del Nord e del Sud. In tanti ricordano l’8 settembre del 1943, figlio di un’altra data storica che è quella del 25 luglio 1943. Ma,  probabilmente, molti italiani non sanno cosa avvenne in questi due periodi. All’estero, a volte, è difficile spiegare alcune scelte fatte in passato dall’Italia. Pensate ai giapponesi, agli stessi tedeschi ma anche ai russi, agli inglesi e agli americani. Non è facile far capire loro che noi, a volte, tendiamo a salire sul carro del vincitore. Siamo fatti così.

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In cantiere c’è una proposta di legge (relatore il deputato del Pd Walter Verini e tra i firmatari anche il deputato Pd Marco Di Maio), che punta a far diventare reato penale il commercializzare prodotti inneggianti al ventennio fascista. Va ricordato che i padri costituenti della Repubblica Italiana, lungimiranti, avevano messo solo nelle norme transitorie della Costituzione il reato di ricostituzione del partito Fascista, consapevoli che tale ipotesi dopo alcuni decenni non aveva più senso perché la nascita di quel partito (erede diretto del socialismo, oggi a cui si rifà il Pd dopo il lungo cammino dal dopoguerra) era legata a degli eventi ed a un uomo che riuscì a catalizzare su stesso gli interessi del tempo che fu. Oggi, a quasi un secolo di distanza, agitare spettri del passato significa solo non aver consapevolezza delle proprie capacità ma denunciare il proprio fallimento politico. MRD

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