di Simona Ciaramitaro
Le riforme costituzionali verso il sì della Camera senza il voto di Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi ha confermato la contrarietà al ddl e riconfermato la rottura del patto del Nazareno con la riunione di ieri sera, durante la quale è stata assunta la posizione ufficiale dei deputati azzurri: saranno presenti in Aula e voteranno no al disegno di legge Boschi. Difficile però escludere che la delicata situazione interna al partito porti i parlamentari di Forza Italia a procedere in ordine sparso. Compatto il Movimento 5 stelle che diserterà l’Aula, come già accaduto ieri e come annunciato il 13 febbraio, quando abbandonò l’emiciclo poco prima della conclusione dell’esame degli emendamenti insieme con gli altri gruppi di opposizione. Oggi invece saranno ai loro posti i deputati della Lega, di Sel, di Fdi-An (oltre a quelli di Fi) ed esprimeranno voto contrario. Il ritorno in Aula delle opposizioni è stato salutato ieri dal capogruppo del Pd, Roberto Speranza, con una nota di apprezzamento da parte del partito, ricordando che “chi rimane fuori si condanna all’inutilità”.
ARIA DI ELEZIONI Sul fronte interno alla maggioranza, fatta eccezione per l’episodio circoscritto nel tempo di Scelta civica che ha mandato un segnale al governo con un’ora di assenza in Aula, per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, i grattacapi sarebbero potuti arrivare solamente dalle minoranze interne al suo partito, le quali continuano a chiedere al premier di rimettere ai parlamentari la possibilità di apportare i cambiamenti necessari e gli ricordano che le riforme non si approvano se non sono il più possibile condivise. Anche in questo caso, però, Renzi rischi non ne correrà: le minoranze Pd voteranno il provvedimento, nonostante minacce e riserve, e solamente qualche singolo deputato, come Pippo Civati o Stefano Fassina, diranno no al ddl Boschi. I dissidenti democratici preferiscono ora puntare tutto sulla legge elettorale, per poi cercare di andare al voto subito dopo l’approvazione delle riforme e dell’Italicum. A conti fatti il presidente del Consiglio dovrebbe potere contare su almeno 380 voti, quelli della sua maggioranza, ai quali si potrebbero aggiungere i sì di coloro che nelle opposizioni non rispetteranno gli ordini di scuderia, e in ogni caso si supererebbe la soglia di oltre 60 voti. La seduta dell’Aula della Camera inizia alle 10 e alle 12 è previsto il voto finale, dopo il quale il testo delle riforme costituzionali dovrebbe essere sottoposto ancora almeno a tre letture per essere approvato in via definitiva.
ROAD MAP Da Montecitorio il testo dovrà tornare a palazzo Madama che dovrà esprimersi sulle modifiche. Solo allora potrà dirsi conclusa la prima lettura. Seguirà quindi un intervallo di tre mesi e quindi la seconda lettura di Camera e Senato. Se il testo non dovesse subire più neanche una virgola di modifica si andrebbe quindi al referendum popolare per far dire agli italiani sì o no. Una consultazione che Renzi ha voluto comunque, indipendentemente dai numeri a favore delle riforme in Parlamento. Ma che dopo la fine del patto del Nazareno e in costanza di riforme approvate a maggioranza rappresenta innanzitutto un obbligo costituzionale per le revisioni costituzionali che non hanno avuto il consenso di almeno due terzi dei parlamentari. Secondo i desiderata del premier, all’approvazione parlamentare si dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno, in modo da celebrare il refernedum entro l’estate 2016. Ma tutto è salvo intoppi. Basterebbe infatti che nella prossima lettura al Senato, venisse apportata anche solo una modifica – nel tentativo di ripristinare il vecchio testo approvato da Palazzo Madama – , che l’iter del ddl si allungherebbe anche di alcuni mesi.