Cosa nostra: “Chi minchia ha portato Alfano qua con i voti degli amici…”

di Andrea Tuttoilmondo

“Questo Angelino Alfano è un porco con le persone. Chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti, degli amici, è andato a finire là insieme a Berlusconi ed ora si sono dimenticati di tutti. Tanto che si è dimenticato a tutti che àincà e dalla galera, dalla galera dicono cose tinte su di lui”. E’ quanto si legge in un’intercettazione registrata fra tre soggetti coinvolti nell’ambito dell’inchiesta “Grande Passo 3”, che ha portato stamani a 6 fermi a Corleone. Dalle carte dell’indagine è emerso come i boss avessero individuato nel ministro dell’Interno il “nemico” responsabile dell’inasprimento del 41 bis, il regime di carcere duro. I tre interlocutori, quindi, proseguivano nel loro dialogo maturando come soluzione ai “problemi” fosse proprio l’omicidio del ministro: “Se c’è l’accordo lo fottiamo a questo. Lo fottiamo, gli cafuddiamo (ndr: diamo) una botta in testa”. “Non perdiamo la faccia, noialtri siciliani! Di questo si tratta. E’ un cane per tutti, per tutti i carcerati Angelino Alfano”. Proseguendo nella loro conversazione, poi, i tre paragonano le sorti del leader di Ncd a quelle del presidente degli Stati Uniti John Kennedy, ucciso a Dallas nel 1963. “Kennedy era allora il Presidente degli Stati Uniti, perché a Kennedy chi se lo è masticato! Non ce lo siamo masticato noialtri là in America! Ed ha fatto, ha fatto le stesse cose che ha fatto Angelino Alfano, che prima è salito con i voti di cosa nostra americana, e poi gli ha voltato le spalle”.

La fase ideativa del piano, a questo punto, prevedeva di compiere il delitto direttamente a Roma, dove uno dei coinvolti nell’operazione di oggi, diceva di avere a disposizione una casa: “A Roma ho già il posto, a Roma c’è gente che ha una casa e la mette a disposizione che te la da un giorno prima”. Successivamente la conversazione è virata sulla migliore opportunità di attendere le future elezioni, in occasione delle quali Alfano sarebbe dovuto rientrare in Sicilia per la sua campagna elettorale; così facendo, in territorio agrigentino, i tre indagati ritenevano molto più semplice dare corso al progetto ai suoi danni. “Qua appena ci sono le elezioni lui si porta”, “e se ne viene qua ad Agrigento, che vuole i voti degli agrigentini”, “posto qua deve essere fatto”, “qua lo dobbiamo aspettare, tra due anni ci sono le elezioni”.

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