Ottanta anni dall’assassinio di Leon Trotsky: ucciso brutalmente per ordine di Stalin nel suo rifugio in Messico il 4 agosto del 1940. Le sue esequie radunarono decine di migliaia di persone. Nato Leo Davidovich Bronstein, fu uno dei grandi ideologi della rivoluzione russa; dopo la morte di Lenin nel 1924, Stalin lo esautorò e nel 29 lo costrinse all’esilio. La sua casa in Messico dove abitò dal 37 oggi è un museo. Esiliato, Trotsky continuò a sperare nella sua visione del comunismo; nel 1938 a Parigi fondò la Quarta Internazionale, alternativa alla Terza Internazionale russa di Stalin. Il trotzkismo, ovvero l’ideologia della rivoluzione permanenente planetaria, divenne anatema per lo stalinismo e i suoi seguaci.
Gabriela Perez Noriega è la direttrice del Museo Leon Trotzky: “E’ come una macchina del tempo, perché ci fa conoscere esattamente l’ambiente in cui viveva. I mobili sono quelli originali, furono costruiti da una delle sue guardie del corpo”. Trotsky sfuggì a un primo tentativo di assassinio nel 1940; la casa messicana porta ancora le tracce dei proiettili. Tre mesi dopo, il suo assassino, Ramon Mercader, comunista spagnolo e agente segreto sovietico, lo uccise con un’accetta da montagna per il ghiaccio.
Da Cuba, Leonardo Paduro, lo scrittore che ha studiato a lungo Trotsky per il suo romanzo “L’uomo che amava i cani”, dà una chiave per comprendere la popolarità della figura di questo rivoluzionario intellettuale, cosmopolita, capace di parlare al popolo e dotato di idee più eterodosse di Stalin: “Dopo l’assassinio di Trotsky, il trotzkismo diventa una corrente più importante soprattutto qui in America Latina, dove è celebrato in paesi come l’Argentina e il Perù. L’assassinio di Trotsky fu un crimine fisico ma anche ideologico, soprattutto ideologico anzi, e questo lo ha trasformato in un crimine simbolico. Credo che Trotzky avrebbe avuto una visione più pragmatica della realtà. Avrebbe applicato forse metodi simili, ma meno violenti di Stalin”.