Da Piccioni a Lupi, quando il politico viene inguaiato dai parenti
AFFARI DI FAMIGLIA Se per la Boschi la vicenda Banca Etruria non ha avuto finora ripercussioni politiche esiziali, non è andata altrettanto bene ad altri esponenti di partito di Antonio Rapisarda
di Antonio Rapisarda
Nell’Italia del longanesiano “tengo famiglia” il caso dei politici che sono finiti nei guai a causa dei propri parenti, prossimi e non, è ormai un genere letterario a parte. Se per il ministro Boschi – almeno per il momento – la vicenda di Banca Etruria e il presunto conflitto di interessi legato al ruolo del padre nell’istituto non ha avuto ripercussioni politiche esiziali, non è andata altrettanto bene ad altri componenti dei governi di “unità nazionale” così come ad altri esponenti di primo piano della politica di oggi e di ieri. Tra i casi storici più eclatanti ci fu quello che coinvolse Claudio Donat-Cattin, allora ministro Dc, che dopo aver scoperto il coinvolgimento del figlio Marco nel gruppo terrorista di Prima Linea si dimise da ogni incarico. Il primo “autolicenziamento”, però, fu quello di Attilio Piccioni, che nel ’53 si dimise da ministro degli Esteri a causa del figlio Piero accusato – poi assolto – di essere legato alla morte di Wilma Montesi, trovata senza vita sulla spiaggia di Torvaianica. Saltando a piè pari dalla prima alla Terza Repubblica il caso più citato in queste ore è quello di Maurizio Lupi, l’ex ministro delle Infrastrutture del governo Renzi – oggi capogruppo alla Camera di Area Popolare – le cui dimissioni sono arrivate dopo l’accusa (senza essere indagato) di aver chiesto un aiuto lavorativo per il figlio neoingegnere.
Tra la Prima e la Terza tanti i casi di parenti ingombranti. Una delle famiglie più “inguaiate” della politica è stata quella di Umberto Bossi, patron della Lega che ha dovuto vedersela con il curriculum di Renzo, il Trota, e con la rimborsopoli della Regione Lombardia. Bossi jr, infatti, si è dovuto dimettere nel 2012 da consigliere regionale con l’accusa di aver usato i soldi del partito, tra le altre cose per comprare addirittura una laurea in Albania. Nel 2008 un’altra questione di famiglia contribuì alla caduta del governo Prodi. Protagonisti Clemente Mastella, ministro della Giustizia, e la moglie Sandra, allora presidente del Consiglio della Campania che venne indagata dalla Procura di Santa Maria Capua a Vetere (poi assolta). Un atto che portò alle dimissioni di Mastella e conseguente crisi di governo con l’inevitabile ritorno alle urne. Infine è rimasto nell’immaginario collettivo ciò che è avvenuto a Gianfranco Fini, trascinato dal giovane cognato nel “Tulliani-gate”. Al centro dello scandalo politico una casa di Montecarlo di proprietà di An ma usata dal cognato dell’allora presidente della Camera. Qui non ci sono state dimissioni, ma il danno d’immagine è stato ben più stimabile della villa.