Debutta a Palermo Siegfried di Vick, dei e eroi nella quotidianità sempre più degradata

di Laura Donato

Graham Vick continua la sua azione dissacrante del mondo del Walhalla. Con Siegfried, alla terza tornata della Tetralogia wagneriana, arrivata ieri, in prima nazionale al Teatro Massimo di Palermo con due anni di ritardo, rispetto alla consecutività prevista con la precedente amministrazione, dopo Oro del Reno e Walkiria, il regista smantella il mondo di Dei ed Eroi creato dal compositore tedesco per immergerlo in una quotidianità sempre più degradata. Ecco quindi che la caverna del nano Mime diventa un piccolo monolocale disordinato e sudicio, la foresta incantata dove dormono il Drago Fafner e la bionda Brunilde, il confine tra civiltà e natura, dove regna la violenza e l’immondizia. Eppure nel suo compito dissacratore Vic) (foto) resta ancorato e fedele all’ironia e alla contraddizione che Wagner non manca di sottolineare pur nel suo lucido delirio di onnipotenza nazionalista, all’interno delle sue opere. In fondo Wagner stesso nel libretto, per bocca di Mime e degli altri personaggi, si riferisce più volte a Siegfried, l’eroe che non conosce paura, definendolo un fanciullo dispettoso, stupido, semplice, tutto il contrario del classico eroe teutonico della mitologia. In fondo tutto ciò che fa lo fa perché istigato: da Mime, prima, da Fafner, poi, dall’Uccellino: se non fosse per quest’ultimo non saprebbe neanche dell’esistenza di Brunilde, la donna, la Walkiria, a lui destinata. Non sembra un eroe consapevole del suo ruolo, neanche quando impugna Notung, la spada del potere. Non stupisce quindi vederlo in scena abbigliato in modo trasandato, muoversi goffamente, incespicare, anelare ad una libertà di cui non saprebbe neanche cosa farsene.

Perfetto nel rendere questa goffaggine, questa semplicità, il tenore Christian Voigt, quasi a volere sopperire alle difficoltà vocali, nell’emissione e tenuta dei suoni, che ne hanno inficiato la resa in scena. Vick agisce su personaggi e storia in un restyling a metà tra il moderno e una certa arretratezza sociale imperante ai margini di certe società più elevate. Del resto è noto come l’uomo sia al tempo stesso animale e dio: votato alla violenza e razionalità, distruzione e creazione, al tempo stesso. Wagner è riuscito a sintetizzare questo connubio tra umano e divino, e il contrasto che inevitabilmente ne nasce, Vick sintetizza questo contrasto sulla scena creando degli antieroi, degli antidei, mossi solo dal vizio, dal desiderio, dalla corruzione, dal degrado: uomini sulla cui bocca il filosofeggiare e le idee wagneriane sembrano quasi dei controsensi. La caduta degli dei, la quarta opera, non è che una formalità, una cronaca annunciata, gli dei sono già caduti, anzi, non sono mai esistiti: e con loro i nani, i Nibelunghi, l’elmo magico, l’anello del potere, Notung, il Drago – che assume le sembianze del drago del Dottor No, dal 007 Licenza di uccidere, con il sorriso tutto denti del Rocky Horror Picture Show – non esiste il Walhalla. Tutto è costruzione dell’uomo. Il mito non esiste! Una sorta di gioco registico al massacro, il tutto grazie all’ausilio Scene e costumi di Richard Hudson, le luci di Giuseppe Di Iorio che impietosamente illuminano la scarna scena, ma anche un non pienissimo Teatro Massimo, ma soprattutto grazie alle azioni mimiche di Ron Howell, che ancora una volta come i movimenti del Reno nel Reingold, il fuoco nella Walkiria, dimostra di essere un elemento importantissimo della produzione, ma che sfortunatamente sembra contagiarsi al podio e agli intrepreti.

Stefan Anton Reck decide infatti che Wagner debba essere eseguito tutto forte senza particolare attenzione ai famosi Temi che costellano la partitura privando quest’ultima di quegli accenti e nouances cui il compositore di Lpisia teneva particolarmente. Linea direttiva che coinvolge pienamente orchestra del Massimo e interpreti – da Peter Bronder (Mime) a Thomas Gazheli (Wotan), a Sergei Leiferkus (Alberich), Michael Eder (Fafner), Judit Kutasi (Erda), Meagan Miller (Brünnhilde), per finire a Deborah Leonetti (Stimme des Waldvogels). Sulle voci maschili sicuramente quelle femminili, più ferme, intense e interessanti. Pubblico si diceva non particolarmente numeroso, ma quello delle occasioni. Il Siegfried è sicuramente un’opera complessa, sia drammaturgicamente che musicalmente parlando, Vick cade in alcune trappole semplicistiche – come Wotan che impone il suo potere su Mime sodomizzandolo, o lo stesso Siegfried che sperimenta con un cuscino il piacere solitario mentre Mime gli spiega quali sensazioni fa provare la paura, oppure lo stesso Drago di bondiana memoria – ma risolve certe altre in modo geniale – come la ripresa del finale di Walkiria, il fuoco eterno creato dai mimi in cerchio investiti dalla luce rossa, qui con gli stessi mimi che, sempre in cerchio, mentre la luce rossa va a spegnersi, si spogliano, battendosi, a spegnere il fuoco dei loro corpi. Magnifico! Siegfried sarà ancora in scena per tutto il periodo natalizio sino al 29 dicembre. Vederlo è sicuramente un modo di trascorrere le feste in modo diverso e interessante.

 

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