La politica siciliana al soldo di Roma, alla faccia dello Statuto
Quanto vale la Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948? In questi quasi 70 anni in quanti l’hanno rispettata? Dato che in molti – dai presidenti della Repubblica ai partiti – si sono sempre e giustamente appellati ai suoi articoli per far valere quanto vi è scritto ai cittadini e di conseguenza a tutti gli Enti che fanno parte dello Stato italiano. Ma alla Regione Siciliana – sin dalla entrata in vigore della Costituzione – lo Stato italiano non ha mai permesso che alcuni articoli fossero attuati, rendendo così vano quell’aspetto finanziario-economico che era stato congeniato per lo sviluppo territoriale nonché per la sua indipendenza economica dal governo nazionale senza costringerlo a ‘contrattare’ di volta in volta. Di contro però tutti quelli che erano i carichi finanziari di competenza statale sono stati sin da subito assegnati alla Sicilia e quindi a pesare sul bilancio siciliano, anche se solo come conteggio di giro finanziario. Per dirne una, in Sicilia non vi sono uffici dei ministeri della Repubblica Italiana così come vi sono nelle altre regioni.
Tradotto in soldoni, i costi dei dipendenti statali oltre ad altre voci di competenza dello Stato, sono a carico del bilancio della Sicilia, ma al contempo i ricavi del gettito fiscale, previsti dall’art. 37 dello Statuto della Regione Siciliana – che fa parte integrante della Costituzione italiana – e che prevede che ogni attività svolta sul suolo siciliano lasci le imposte dirette e indirette nelle casse regionali e non vadano a quelle dallo Stato italiano, prendono invece la via per Roma. Grazie a questa consuetudine lo Stato ha goduto, a secondo gli accordi coi politici siciliani di turno (siano stati essi presidenti di Regione o i maggiorenti dei partiti che poi hanno dato indicazione ai loro ‘uomini’ a palazzo dei Normanni), di poter erogare alla Regione Siciliana importi non confacenti a quanto previsto dallo Statuto.
Un giochetto abbastanza abile per tenere sempre sotto controllo la Sicilia e gestirla a loro piacimento. Alla faccia dell’Autonomia. Andiamo avanti. Decenni dopo decenni sempre con la complicità di molti politici siciliani, l’Italia ha tentato sempre di sminuire nella sua efficacia quanto prevede quello Statuto, che era stato recepito per intero e quindi con valore costituzionale e fondante per la Repubblica Italiana, che evitò nel dopoguerra che la Sicilia diventasse uno stato indipendente. In pratica, lo Statuto della Regione Siciliana si può considerare non come un regolamento che gestisce le competenze e i rapporti tra lo Stato e una regione ordinaria o a statuto speciale ma era quello di uno Stato consociato con un altro Stato. E tutto ciò al solo scopo che l’Italia non perdeva quella continuità territoriale strategica che la Sicilia determina per la sua posizione al centro del mediterraneo.
Adesso il governo siciliano si accorge, ma così avviene da diversi decenni, che le somme che Roma ‘elargisce’ ogni anno non bastano a coprire il bilancio regionale anche se in realtà gli importi annui delle imposte che dovrebbero rimanere in Sicilia, secondo quanto prevede lo Statuto, sarebbero di gran lunga superiori. Ma non è il solo governo Crocetta a segnalarlo. E’ dagli inizi dell’accordo tra la Sicilia e lo Stato che questa situazione viene sottolineata, anche con battaglie ‘legali’ alla Consulta, ma mai risolta. Ed è lecito domandarsi: ma chi si è battuto per lo Statuto e per far valere i diritti della sua terra che fine ha fatto sia politicamente che personalmente? Eppure in questi quasi 70 anni in molti ci hanno provato e l’elenco è lungo ma tutti sembra che siano stati stritolati da “Roma” se non si adeguavano. Legittime supposizioni ma che suonano alla faccia della Costituzione Italiana e al suo valore e valere per tutti i cittadini. M.R.D