di Maurizio Balistreri
Alla fine lo strappo tra Roma e Bruxelles c’è stato. In ballo i criteri adottati per la ristrutturazione delle quattro banche italiane in crisi. È stata resa pubblica la lettera inviata al governo il 19 novembre scorso da Marghethe Vestager e Jonathan Jill, commissari Ue alla Consorrenza e alla Stabilità finanziaria, con la quale veniva impedito il salvataggio attraverso l’uso del Fondo interbancario di garanzia dei depositi. Il testo doveva rimanere segreto, trattandosi di una comunicazione confidenziale. Il governo italiano, però, aveva minacciato di pubblicarla sul sito del ministero del Tesoro affinché fosse chiaro a tutti chi era stato a imporre l’azzeramento del patrimonio di azionisti e obbligazionisti. Alla fine l’ipotesi estrema dello sgarbo istituzionale è stato evitato, ma la lettera ha cominciato ugualmente a circolare rendendo evidente la propfondità dello scontro fra Roma e Bruxelles. Emerge così che l’Unione Europea non ha lasciato molto spazio al governo italiano. Qualunque forma di salvataggio alternativa a quella poi adottata dal Consiglio dei ministri del 21 novembre, sarebbe stata infatti considerata un aiuto di stato. Nessun diktat lampante da parte di Bruxelles, ma una posizione molto ferma che, se disattesa, avrebbe aperto un lungo contenzioso fra Italia e Commissione. Un precedente pericoloso, considerando che in primavera la Legge di Stabilità dovrà passare l’esame della Ue.
La Commissione europea, intervenendo nella polemica in corso sulle scelte fatte dal governo e quelle imposte dall’Esecutivo comunitario nella vicenda della ristrutturazione di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, ha confermato oggi la propria posizione contraria all’uso del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) per ricapitalizzare le quattro banche, così come avrebbero voluto fare le autorità italiane. Il servizio del Portavoce della Commissione puntualizza, in una nota emessa oggi a Bruxelles, che la lettera inviata al governo italiano dai commissari Ue alla Concorenza, intendeva “definire sotto l’aspetto giuridico l’uso di un fondo obbligatorio di garanzia dei depositi per ricapitalizzare le quattro banche”, una questione su cui l’Esecutivo Ue “era rimasto in contatto con le autorità italiane fin dal mese di maggio”. La lettera dei due commissari, precisa il portavoce “spiega che le regole Ue sugli aiuti di stato e la direttiva sulla risoluzione e salvataggio delle banche (Brrd – Bank Resolution and Recovery Directive, ndr) si applicano all’uso di fondi pubblici per sostenere le banche che stanno fallendo”, e che “l’uso di un fondo obbligatorio di garanzia dei depositi non fa eccezione” all’applicazione di quelle regole.
“C’è anche – aggiunge il portavoce della Commissione – una semplice logica soggiacente, senza la quale il controllo Ue sugli aiuti di Stato e le salvaguardie che fornisce ai contribuenti e all’equa concorrenza potrebbero essere facilmente aggirate: il sostegno pubblico deve arrivare solo in ultimo ricorso”. “Le regole Ue forniscono diversi strumenti agli Stati membri per far fronte ai fallimenti delle banche e mantenere la stabilità finanziaria” ricorda il portavoce, che poi sottolinea: “E’ stata una decisione delle autorità italiane quella di ristrutturare le banche usando il Fondo di risoluzione”. D’altra parte, si puntualizza ancora nella nota, “se altre banche decidono da sole di intervenire in un meccanismo pienamente privato, questo esula dal campo di applicazione del controllo Ue sugli aiuti di Stato”. Il portavoce ricorda infine che già “in precedenza, in diversi casi in Italia, Spagna e Polonia, la Commissione aveva concluso che l’intervento da parte di fondi di garanzia obbligatori (per salvare le banche, ndr) equivaleva a un aiuto di Stato”, anche se poi quegli interventi erano stati approvati dall’Antitrust comunitario “perché in linea con le regole sugli aiuti di Stato” vigenti.