di Laura Della Pasqua
In pensione più tardi e con l’assegno più basso. Da gennaio non solo salgono i requisiti per lasciare il lavoro ma i pensionati saranno più poveri. È il “regalo” della legge Fornero che prevede il tanto contestato piano di innalzamento progressivo dell’età e degli anni contributivi fino ad arrivare al 2018 quando per uscire dall’attività tutti dovranno avere 66 anni. Da gennaio la situazione dei lavoratori dipendenti è questa: per la pensione di vecchiaia, gli uomini devono avere 66 anni e 7 mesi mentre le donne 65 e 7 mesi (nel 2015 era rispettivamente: 66 anni e 3 mesi e 63 e 9 mesi); per l’accesso al pensionamento anticipato invece bisogna avere contributi per 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne (nel 2015 erano rispettivamente: 42 e 6 mesi e 41 e 6 mesi. Uomini e lavoratrici del settore pubblico potranno invece andare in pensione a 66 e sette mesi.
Per quanto riguarda l’importo dell’assegno le sorprese non sono migliori. Il calcolo si basa sul complicato meccanismo dei coefficienti di trasformazione che rielaborano i contributi versati. In soldoni significa stabilire quanto viene rivalutato quel tesoretto previdenziale rappresentato dai versamenti contributivi. A partire dal 2012 i coefficenti, cioè questi moltiplicatori, sono stati modificati ogni tre anni, mentre a partire dal 2019 lo saranno ogni due. La modifica è fatta tenendo conto diverse variabili come le aspettative di vita, gli indici di mortalità oltre all’andamento del Pil nel lungo periodo. Il governo Renzi, dopo una prima limatura fatta dall’ex ministro Damiano, ha deciso un altro abbassamento dei coefficienti. Risultato: pensioni più basse. Di quanto, dipende dai singoli casi ma secondo un calcolo sindacale, si va dal 2% in meno nella maggior parte dei casi fino all’8% per alcune situazioni.