La Ferrari sbarca in Borsa e dopo 47 anni dice addio alla Fiat

di Giuseppe Novelli

La Ferrari sbarca in Borsa a Milano e dice addio a Fca, pronta a correre da sola verso nuovi traguardi. Con il debutto a Piazza Affari, domani alle 9 alla presenza del premier Matteo Renzi, si chiude un’epoca per il Cavallino rampante, che dal 1969 in poi ha sempre avuto un forte legame con la Fiat. Da domani infatti la società di Maranello non farà più parte di Fiat Chrysler Automobiles e sarà controllata direttamente dagli Agnelli attraverso la holding Exor. E se per la casa automobilistica fondata dal Drake si aprono nuovi orizzonti strategici e industriali, per il gruppo italo-americano sarà un po’ il momento della verità. Perchè con lo scorporo della Rossa, si vedrà quanto vale realmente Fca da sola con i suoi brand, dalla Jeep all’Alfa Romeo: un passaggio cruciale nello scenario più ampio di un possibile consolidamento dell’industria dell’auto, con Sergio Marchionne deciso a giocare un ruolo da protagonista. L’approdo a Piazza Affari arriva un paio di mesi dopo la quotazione a New York, il 21 ottobre con un prezzo iniziale di 52 dollari (ma oggi il titolo è intorno a quota 48). Una doppia Ipo che rientra nella strategia dei vertici di Fiat-Chrysler di valorizzare il marchio di Maranello e incassare risorse fresche per gli investimenti e la riduzione del debito, preparando così il gruppo a un’eventuale fusione, magari proprio con l’ambita General Motors.

La separazione è stata realizzata con una serie di operazioni, scattate il primo gennaio, per distribuire l’80% del capitale Ferrari: i soci Fca, ogni dieci azioni possedute, ricevono un’azione di Maranello. Alla fine Exor manterrà il controllo della società con il 23,5%, legato da un patto parasociale al 10% di Piero Ferrari: quote a cui, in base alle norme olandesi (la nuova Ferrari NV ha sede ad Amsterdam), corrispondono rispettivamente circa il 33,4% e il 15,4% dei diritti di voto in assemblea. Il prezzo delle azioni si determinerà già nell’asta di pre-apertura di Borsa Italiana, con il Cavallino rampante identificato dallo stesso ticker ‘Race’ usato a Wall Street. Si sapranno così il valore in euro della Ferrari e quello di Fiat-Chrysler post-scissione: mercoledì scorso, ultimo giorno di negoziazioni del 2015 a Milano, Fca ha chiuso in calo dell’1,37% a quota 12,92 euro. E secondo alcune valutazioni, dopo lo spin-off il prezzo teorico dell’azione Fca dovrebbe scendere a 8-9 euro. Una soglia da cui Marchionne dovrà partire per rilanciare il titolo in vista di un’eventuale aggregazione con Gm, consentendo agli Agnelli di essere gli azionisti principali del nuovo colosso post-merger. Il livello attuale di capitalizzazione è di circa 16,5 miliardi e spingerlo verso l’alto in maniera significativa non sarà un compito semplice per il manager italo-canadese. Dopo lo show di domani, con una monoposto di Formula 1 e alcune Gt in mostra davanti a palazzo Mezzanotte, per capire le prossime mosse di Marchionne bisognerà aspettare probabilmente il lunedì successivo, quando arriverà al salone dell’auto di Detroit.

Una vetrina importante dove potrebbe dare qualche indicazione in più sull’aggiornamento del piano industriale (atteso in questo mese), pur avendo assicurato nelle scorse settimane che gli obiettivi per il 2018 non saranno modificati. Ma il rallentamento del mercato cinese e la frenata del piano di rilancio dell’Alfa potrebbero cambiare il quadro, per un Ceo sempre pronto a ridefinire rapidamente le strategie perchè “rimanere ingessati e non adattarsi ai cambiamenti sarebbe da suicidio”. Il tema clou, però, resta la ricerca di un’alleanza e nel Michigan forse sarà un po’ più chiaro se Marchionne e il presidente John Elkann intendono stringere su Gm o andare a cercare un altro partner. La scissione della Ferrari, intanto, “rappresenta l’inizio di un nuovo capitolo” per Maranello, aveva detto Marchionne a inizio dicembre in Olanda, all’assemblea di Fiat-Chrysler che ha approvato lo scorporo. Per il Cavallino rampante, fondato da Enzo Ferrari nel 1947 e dal 1988 (anno della morte del Drake) controllato al 90% dal Lingotto, comincia davvero una nuova strada. Senza più la Fiat ai box a controllarla, in futuro il gioiello di Maranello potrebbe attirare l’interesse internazionale: fondi di private equity ad esempio, o grandi gruppi industriali, un emiro del Golfo o un magnate dei paesi emergenti. Investitori che potrebbero diventare soci di rilievo e magari mettere in discussione le strategie seguite finora, a partire dal numero limitato di auto prodotte (nell’ultimo anno 7.200). Ma questa è tutta un’altra corsa.

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