di Gaetano Mineo
Niente soldi alla Sicilia. Oltre quattrocento milioni verranno dirottati ad altre Regioni. C’è chi parla di seicento, addirittura di ottocento milioni. In ogni caso, così ha deciso il premier Renzi. Soldi che dovevano servire per strade e scuole gestite dalle ex Province. Strutture che, a questo punto, continueranno ad affogare nel totale degrado. La politica siciliana si tira fuori da ogni responsabilità. Uno per tutti, l’assessore alla Formazione Marziano: “Si parla sempre male dei bistrattati deputati regionali, ma io credo che i nostri parlamentari nazionali avrebbero dovuto dire qualcosa su questo argomento”. Eppure Marziano non è soltanto un esponente della giunta regionale, ma di un partito, il Pd, che governa la Sicilia e l’intero Paese. Il che scaricare la responsabilità alla deputazione siciliana a Roma, appare più che discutibile. Come è altrettanto discutibile che tra i Palazzi d’Orléans e Chigi non ci sia una proficua collaborazione, nonostante siano legati da uno stesso filo rosso. Ma questa è un’altra storia. Torniamo ai quattrocento milioni. Perché Roma non li ha erogati? Per il semplice motivo che la Regione non ha adottato la riforma Delrio sulle Province. Tradotto dal burocratese vuol dire che se oggi il parlamento siciliano avesse varato in toto la riforma, la Sicilia avrebbe in tasca centinaia di milioni per riparare strade, scuole, erogare servizi ai disabili e via dicendo. Da qui l’illuminante appello della capogruppo Pd Anselmo: “Governo e maggioranza hanno il dovere di completare al più presto la riforma delle Province”. Ben detto. E dire che più di due anni fa, il governatore della Sicilia, l’aveva annunciato a milioni di italiani davanti alle telecamere de ‘L’Arena’ di Rai1. “La Sicilia è la prima Regione d’Italia ad aver varato la riforma delle Province”, strillava allora Crocetta. A tutt’oggi, qualcuno al di là dello Stretto, forse ci crede ancora. Non certo gli oltre seimila dipendenti degli enti che dopo oltre due anni ancora non conoscono il loro destino, essendo legato a una legge la cui bozza sarà in uno dei tanti cassetti di Palazzo d’Orlèans. Per non parlare della totale paralisi dell’attività amministrativa, ferma da oltre due anni, quando è stata varata la prima parte della riforma, ovvero quella che, in buona sostanza, ha cambiato semplicemente la denominazione da Province a Liberi consorzi. Appellativo, quest’ultimo, che era già in vigore fino agli anni Ottanta quando, un’apposita legge, lo sostituiva con Province. Questa è l’autonomia, bellezza!