di Giuseppe Novelli
Se mai ci fosse stata suspense sull’esito della mozione di sfiducia al governo per la vicenda banche che oggi sarà votata in Senato, queste dichiarazioni tolgono ogni dubbio: il gruppo dei verdiniani non voterà con le opposizioni, nè lo faranno i tre senatori che fanno riferimento a Flavio Tosi, che ha incontrato il premier a palazzo Chigi. Non che l’iniziativa delle opposizioni togliesse il sonno a Matteo Renzi, ma le prese di posizione dei due gruppi centristi sgombrano ogni dubbio su quale sarà l’esito del voto. Tanto più che l’assemblea dei senatori Pd ha visto l’ok unanime al ddl Cirinnà, anche da parte dei catto-Dem. Anche per questo Renzi oggi sarà in Aula al Senato a respingere le accuse sulla gestione della vicenda banche. La linea sarà sempre la stessa: il governo si è trovato a gestire una crisi a causa del mancato intervento dei governi precedenti, e lo ha fatto cercando di tutelare al massimo – nel rispetto delle regole – i correntisti e i lavoratori. E il premier rivendicherà al contrario il suo attivismo per ristrutturare il settore, a partire dall’intervento sulle popolari e da quello atteso sul credito cooperativo.
Il problema semmai è con la minoranza interna del Pd, che invoca un “chiarimento politico vero” per quello che ritengono uno scivolamente della maggioranza verso il centro “l’abbraccio” sempre più stretto di Verdini: per Pierluigi Bersani “così si vanifica il profilo ideale e politico del Pd. Io a questo non ci sto”. “Basta gioco delle tre carte”, aggiunge Roberto Speranza. Tesi che i diretti interessati smentiscono. Sia che si tratti dei vertici Pd (“Non votano con le altre opposizioni, non stanno entrando in maggioranza”, è la replica dal Nazareno) sia che si tratti dei diretti interessati: “Non condiviamo la mozione delle opposizioni, non stiamo votando la fiducia al governo”, spiega il capogruppo di Ala Lucio Barani; “Sulle banche il governo non ha responsabilità, e se c’è una cosa che condividi la sostieni, senza chiedere nulla in cambio”, spiega Tosi dopo il colloquio con Renzi.
Del resto, nella partita del ‘rimpastino’ di governo che si dovrebbe chiudere al Cdm di domani, né i verdiniani né i tosiani sono mai stati in ballo. Anche se Renzi non sembra voler riassegnare per ora tutte le caselle rimaste libere. Certezze nel Pd non ne può offrire nessuno, “perchè una decisione non è stata ancora presa e Renzi come al solito deciderà all’ultimo”, ma le indicazioni più ricorrenti suonano così: Ncd dovrebbe ottenere con Enrico Costa il ministero degli Affari regionali e il ritorno di Antonio Gentile alle Infrastrutture, da dove si era dovuto dimettere per un’inchiesta finita in un nulla di fatto. Il posto di Costa come viceministro della Giustizia potrebbe essere preso da Ivan Scalfarotto, attualmente sottosegretario alle Riforme: “E’ apprezzato dal premier e potrebbe avere un upgrading, spiegano”.
Ma la poltrona lasciata libera da Scalfarotto dovrebbe restare vuota: “Ora che le riforme sono praticamente arrivate in porto non servirà”. Un altro valzer vede al centro Teresa Bellanova: l’esponente della componente Pd che fa capo a Maurizio Martina dovrebbe essere promossa a viceministro allo Sviluppo, insieme a Luigi Casero che lascerà il posto all’Economia dove il centrista Zanetti dovrebbe essere promosso a viceministro. Dallo Sviluppo, Belano continuerà ad occuparsi in particolare delle crisi aziendali, compito che già assolveva come sottosegretario al Lavoro. Anche in questo caso, la poltrona lasciata libera potrebbe restare tale: toccherebbe infatti a Tommaso Nannicini (in predicato di diventare sottosegretario alla Presidenza) seguire da palazzo Chigi i temi legati all’occupazione. E libera dovrebbe restare anche la poltrona lasciata da Francesca Barracciu a sottosegretario dei Beni culturali. L’ultima casella che invece dovrebbe essere riassegnata è quella di viceministro agli Esteri: in pole resta Enzo Amendola, anch’egli esponente della componente Dem che fa capo a Martina.