“Più investimenti pubblici e meno tasse”. E’ la ricetta, apparentemente nuova, suggerita dalla Bce ai governi sul come calibrare al meglio le politiche di bilancio, in modo da renderle favorevoli alla crescita. In realtà l’istituzione di Francoforte sostiene da sempre la necessità di approntare manovre finanziarie che cerchino di limitare il prelievo fiscale, tendenzialmente riducendo la spesa. La novità è piuttosto in questo esplicito appello a sostenere gli “investimenti pubblici”, lanciato dal presidente Mario Draghi durante una audizione al Parlamento europeo. La formula non è contenuta in frasi dette a braccio, ma nella relazione introduttiva preparata in precedenza. Successivamente Draghi ha esplicitato meglio il suo pensiero nella sessione di domande e risposte con gli eurodeputati. Perché altrimenti il concetto potrebbe prestarsi a qualche fraintendimento, vista la tradizionale linea raccomandata dalla Bce, che è quella di rispettare i dettami del Patto di stabilità e di crescita, i parametri chiave sui conti pubblici, e di orientare il bilancio verso il graduale conseguimento dell’obiettivo di medio termine: il pareggio. Dire “sta diventando sempre più chiaro che le politiche di bilancio dovrebbero sostenere la ripresa economica tramite investimenti pubblici e meno tassazione”, potrebbe far pensare ad uno slancio verso la spesa in deficit. In realtà, già un paio di righe più in basso nel testo letto da Draghi, si precisa come “il rispetto delle regole del Patto resta essenziale per mantenere la fiducia nella struttura di bilancio”.
Ma poi il banchiere centrale è stato ancora più chiaro quando ha puntualizzato che l’esortazione a spingere sugli investimenti pubblici e ridurre le tasse riguarda i Paesi che hanno bilanci in grado di farlo senza sforare le regole. “Gli Stati che hanno margini di bilancio per sostenere la crescita dovrebbero utilizzarli e quelli che non hanno margini di bilancio – ha chiarito – non dovrebbero farlo”. Tradotto, questo richiamo sembra essere indirizzato innanzitutto alla Germania. Che i margini per fare più investimenti pubblici li ha. Il presidente della Bce ha poi ribadito che le politiche di bilancio vanno accompagnate da riforme e interventi strutturali a loro volta in grado di favorire la crescita, “che favoriscono gli investimenti privati e il nuovo lavoro”. E che in ogni caso la “composizione dei bilanci è tanto importante quanto la loro mole”. Sembrerebbe il solito mantra sul fatto che è meglio ridurre il prelievo fiscale limitando la spesa. Tuttavia la parola spesa nel teso non compare. E del resto sarebbe difficile sostenere gli investimenti pubblici limitando la spesa. Insomma qualcosa di nuovo sembra esserci in ogni caso. E chissà che l’Italia non rivendichi di averli questi “margini”, tenuto conto della flessibilità inserita nel nuovo Patto Ue e che Roma reclama a gran voce su riforme, investimenti e emergenza profughi.
Restando sull’Italia Draghi ha confermato che i titoli derivanti da cartolarizzazione dei crediti deteriorati delle banche, in Abs, potrebbero essere utilizzati – ove ne avessero i requisiti di rating – come garanzie (collaterali) per accedere ai rifinanziamenti ella Bce. Mentre ha drasticamente smentito che vi sia qualsiviglia discussione con l’Italia o progetto sull’inconsistente ipotesi di far “acquistare” alla Bce i crediti deteriorati stessi. “Non se ne parla proprio – ha detto – non so da dove venga questa storia che da 2 o 3 giorni circola sui media italiani. Non stiamo parlando di comprare alcunché. La questione è se i crediti deteriorati cartolarizzati in Abs possano essere accettati dalla Bce come collaterali. Bisogna ricordare che accettare come collaterale è diverso da acquistare”. “La Bce – ha ricordato Draghi – ha emanato delle regole sui requisiti dei collaterali che si applicano a tutti gli Abs, che prevedono di avere almeno una ‘A’ singola come secondo miglior rating. Questo non precluderebbe a priori l’uso di Abs da crediti deteriorati. E’ importante capire che le nostre regole ci impediscono di discriminare in un senso o nell’altro” questo o quel titolo. Peraltro “finora – ha rivendicato – non abbiamo avuto mai perdite sui nostri collaterali”.
L’intervento comunque è stato innanzitutto occasione per ribadire il concetto di una Bce che è pronta a intervenire, ove fosse necessario fare altro per velocizzare il ritorno dell’inflazione a valori accettabili. Se si dovesse evidenziare un aumento persistente degli “effetti secondari” dei cali del petrolio sull’inflazione, oppure se risultassero problemi alla trasmissione della politica monetaria a causa delle tensioni dei mercati, “se uno di questi due fattori dovesse comportare rischi per la stabilità dei prezzi, non esiteremo ad agire”. Draghi ha nuovamente rivendicato che l’istituzione dispone ancora di “numerosi strumenti” di intervento contro la bassa inflazione e che il suo programma di acquisti di titoli “dispone della sufficiente flessibilità pe essere adattato alle circostanze”. Infine, la controversa banconota da 500 euro. Draghi ha confermato che la Bce sta “attivamente considerando” la possibilità di intervenire, presumibilmente per rimuoverla, dato che è ampiamente condivisa anche nel pubblico la sensazione che sia anche uno strumento utilizzato dalla criminalità, incluso il terrorismo, per scopi o transazioni illecite. “Ma questo non ha nulla a che fare con il ridurre il contante – ha precisato – questo va tenuto presente”. Per coloro che volessero semplicemente mettere da parte risorse in contanti esiste sempre la banconota da 200 euro. Red. Eco.