I 9 anni di un presidente “politico”, in mezzo a crisi economia

napolitano

Quasi nove anni di incarico sulla poltrona piu’ importante d’Italia, quella di Presidente della Repubblica. Questo e’ l’eccezionale dato che ha caratterizzato la permanenza al Colle di Giorgio Napolitano. Con le sue dimissioni anticipate, Napolitano ha messo fine a quell’unicum nella nostra storia repubblicana rappresentato da un Presidente eletto per due volte di seguito, nel 2006 e nel 2013. Una conferma al Quirinale dettata evidentemente dall’incapacita’ della politica di accordarsi su un nome condiviso. Su tutto e’ bene ricordare – oltre la bocciatura alle prime votazioni di Franco Marini, che raccolse voti che sarebbero stati sufficienti per essere eletto dalla quarta votazione in poi, quella che richiede la maggioranza assoluta delle Camere riunite – la mancata elezione di Romano Prodi. Il Pd all’unanimita’ (cosi’ sembrava) aveva deciso di candidarlo al Colle, ma poi il fuoco amico democratico – 101 contrari – affosso’ l’ex premier. Napolitano – nei suoi due mandati – ha attraversato una delle piu’ gravi crisi economiche e finanziarie del nostro Paese e si e’ trovato a lavorare con ben cinque presidenti del Consiglio: Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. Ha inviato un solo messaggio alle Camera (sulla questione carceraria) e ha nominato cinque senatori a vita (Monti, Abbado, Rubbia, Cattaneo e Piano). Il Presidente non ha affrontato pero’ solo problemi economici.

Un filo rosso che ha caratterizzato il lavoro del Capo dello Stato nei due mandati e’ stata la continua sollecitazione alle forze politiche ad impegnarsi – come detto nel suo discorso di insediamento bis nell’aprile 2013 – per accordi e intese che portassero a quelle riforme tanto attese dal Paese. “E’ tassativa la necessita’ di intese tra forze politiche” per fare finalmente le riforme altrimenti, aveva detto, “non mi restera’ che trarre le dovute conseguenze”. In ogni caso, aveva spiegato piu’ in generale Napolitano, “mi accingo al mio secondo mandato e lo faro’ fino a quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerira’ e comunque le forze me lo consentiranno”. Ecco che quindi, come detto lo scorso 31 dicembre nel suo ultimo discorso di fine anno, a opinione di Napolitano la strada delle riforme e’ stata bene imboccata e lui puo’ ora farsi da parte, anche perché, aveva aggiunto, “ho il dovere di non sottovalutare i segni dell’affaticamento e le incognite che essi racchiudono, e dunque di non esitare a trarne le conseguenze. Ritengo di non poter oltre ricoprire la carica cui fui chiamato, per la prima volta nel maggio del 2006, dal Parlamento in seduta comune”. Le condizioni che hanno mantenuto Napolitano al Quirinale sono particolarmente complesse, di fronte a un sistema che ha mostrato una volta di piu’ tutti suoi limiti e le sue incapacita’, la sua lontananza dalla societa’ e dalle sollecitazioni che la attraversano. Ma sicuramente non e’ sbagliato pensare che il Napolitano ‘politico’ dei primi sette anni sia stato tale anche nel secondo mandato. Un bis segnato, fra l’altro, dall’esplosione dell’antipolitica, una deriva figlia anche di drammatici casi di corruzione pubblica fermamente censurati dal Presidente. Il lavoro di Napolitano si e’ svolto – sempre nei limiti postigli dalla Costituzione, e’ bene ricordarlo – con l’obiettivo garantire solidita’ al quadro politico italiano (in perenne fibrillazione, dalle vicende berlusconiane alle intemperanze leghiste per arrivare ai virulenti attacchi di Beppe Grillo e del suo M5S) e stabilita’ nei riguardi degli impegni assunti dal Paese verso l’Unione europea, a partire da quelli di bilancio.

Un’attivita’ non meramente notarile, caratterizzata dall’aver messo a disposizione del bene comune quelle competenze, quelle capacita’ maturate in tanti anni di vita politica di primo piano (figura eminente del Pci, deputato, presidente della Camera, ministro dell’Interno, senatore a vita) e di attivita’ internazionale di rilievo (ministro ‘ombra’ degli Esteri del Pci, membro dell’Assemblea dell’Atlantico del Nord, primo dirigente Pci invitato negli Usa, parlamentare europeo, presidente della commissione Affari istituzionali del Parlamento europeo). Di fronte al fallimento dei partiti – o quanto meno alla loro incapacita’ di adeguarsi alle nuove sollecitazioni provenienti dalla societa’, frutto anche della drammatica crisi economica-finanziaria – la figura del Capo dello Stato si e’ posta, o e’ stata percepita, come il vero punto di riferimento del nostro Paese. Un Napolitano ovviamente estraneo alla lotta politica ma che non ha esitato, quando necessario, a richiamare i giocatori in campo al rispetto delle regole: intervenire direttamente, come per la nascita del governo Monti o indirettamente come con l’istituzione di due commissioni di ‘saggi ‘, chiamati a formulare una piattaforma di proposte istituzionali ed economiche. Una mossa, quest’ultima, resasi necessaria per uscire dallo stallo nella formazione del nuovo governo generato dall’inconcludente esito elettorale del 2013. Le proposte, messe a punto e consegnate a Napolitano, sembravano a molti destinate a rimanere puro esercizio accademico. Ma con la rielezione del Presidente sono tornate di attualita’ e diventate quel punto di riferimento per l’azione dei governi che si sono succeduti, Letta prima e Renzi poi. Non e’ stata certo una ‘Repubblica del Presidente’ ma quasi nove anni qualificati da una sua costante presenza su tutte le questioni che significativamente hanno attraversato i suoi mandati.

D’altronde era stato lo stesso Napolitano a dare la cifra del suo ruolo: ‘Sono convinto’ che ‘quando i nostri padri costituenti hanno scritto la carta fondamentale non hanno immaginato per il Capo dello Stato un ruolo che si risolvesse, come si dice per i re in altri paesi, nel tagliare i nastri alle inaugurazioni’ e quindi ‘ho ritenuto che il Presidente della Repubblica, secondo la nostra concezione istituzionale, dovesse prendersi delle responsabilita’ senza invadere campi che non sono suoi’; ‘credo di dovere sempre cercare di interpretare esigenze e interessi generali del paese anche in rapporto a scelte di governo che rispetto, perché non posso assolutamente sostituirmi a chi ha la responsabilita’ del potere esecutivo, ma che possono rientrare in un dialogo al quale intendo dare il mio contributo’. I governi che si sono succeduti sotto la presidenza Napolitano sono stati diversissimi tra loro, per composizione e per provenienza politica, ma nei confronti dei quali il Capo dello Stato ha sempre assunto lo stesso atteggiamento, senza fare sconti quando e’ stato necessario e dando sostegno quando e’ servito, e sempre avendo bene in mente le parole pronunciate il 15 maggio 2006, nel suo primo discorso di insediamento davanti le Camere: ‘Saro’ il Presidente di tutti, non della sola maggioranza che mi ha eletto’. E’ con questo spirito che Napolitano ha affrontato le questioni piu’ delicate che gli si sono via via presentate davanti, a cominciare da quelle giudiziarie. Nella primavera del 2007, in qualita’ di Presidente del Csm richiese allo stesso organo di autogoverno della magistratura di visionare il fascicolo del pm Henry John Woodcock, titolare dell’indagine su Vittorio Emanuele di Savoia. Successivamente invito’ piu’ volte ad interrompere la ‘guerra tra procure’ in atto tra le sedi di Salerno e Catanzaro nell’ambito dell’indagine Why Not alla quale lavorava, tra gli altri, il pm della citta’ calabrese Luigi de Magistris. E’ invece del 2012 il caso delle intercettazioni da parte della Procura di Palermo, svolte nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa Stato-Mafia e che ha visto coinvolti, tra gli altri, l’ex ministro Nicola Mancino. Intercettazioni – relative a telefonate di Mancino che coinvolgevano, sia pure indirettamente, lo stesso Napolitano e il consigliere giuridico del Colle, Loris D’Ambrosio (morto d’infarto) – che hanno provocato il ricorso (poi vinto) alla Consulta per conflitto di attribuzione da parte del Quirinale contro la Procura siciliana. Ma la vicenda e’ culminata con quello che e’ stato forse il momento piu’ difficile per Napolitano. Il 28 ottobre 2014 la Corte d’Assise di Palermo ha ascoltato in trasferta a Roma al Quirinale la testimonianza del Capo dello Stato sulla vicenda. Tre ore di udienza nel corso delle quali il Presidente della Repubblica ha detto di non aver mai saputo di accordi tra apparati dello Stato e Cosa Nostra per fermare le stragi del 1992-1993.

Ma non solo di giustizia si e’ occupato il Capo dello Stato. Gli appelli alle forze politiche a riforme condivise sono stati una costante dei suoi interventi. In particolare, la sua ‘moral suasion’ verso i partiti perché abbandonassero il permanente clima di scontro ha tra gli obiettivi principali – quasi presago della strana governabilita’ prodotta dalle elezioni senza vincitori del 2013 – quello della riforma della legge elettorale. Inviti che sembrano finalmente avere avuto risposta. C’e’ poi il capitolo dei rapporti con Silvio Berlusconi premier. Rapporti se vogliamo nati male perché il centrodestra nel 2006 non voto’ Napolitano, contestando il fatto che dopo l’elezione di ‘uomini della sinistra’ come Marini e Bertinotti alla guida di Senato e Camera, al Quirinale andasse un ex comunista. Una dialettica tra i due particolarmente dura ma che non impedi’ al Capo dello Stato di firmare il Lodo Alfano (bocciato pero’ successivamente dalla Consulta) e il legittimo impedimento. Da ricordare anche lo scontro sul caso Englaro, quando Napolitano fece sapere a Palazzo Chigi che non avrebbe firmato il decreto che impediva ai medici di sospendere l’alimentazione forzata alla giovane Eluana. Arrivano poi la crisi economica-finanziaria e le drammatiche difficolta’ dell’Italia. Berlusconi nel 2011 si dimette e nasce il governo tecnico di Mario Monti, voluto fortemente dal Presidente della Repubblica (che due giorni prima di dare l’incarico nomino’ l’ex professore della Bocconi senatore a vita). Napolitano ha affiancato e sostenuto il governo bocconiano fino alla fine, anche in presenza di alcune frizioni con il premier, ricordando in ogni suo intervento pubblico (cosa fatta fino ad oggi) l’importanza del nostro rapporto con l’Unione europea e il ruolo primario dell’Italia nella politica dell’Ue. Ma il lavoro di Napolitano non si e’ esaurito con questo o quel discorso ma con lo sviluppo di quei numerosi contatti internazionali che per ruolo istituzionale e’ tenuto ad avere. Ecco allora che rassicurazioni sullo stato di salute dell’Italia sono arrivate nei suoi incontri con i partner europei e con i leader mondiali. Una presenza, quella sulla scena internazionale, che ha portato la sua popolarita’ a livelli altissimi, al punto che per il New York Times e’ ‘King George’ – con chiaro riferimento al re britannico Giorgio VI – per la sua ‘maestosa’ difesa delle istituzioni italiane.

Una popolarita’ che ovviamente e’ stata meno che mai in discussione sul territorio nazionale. Il novennato di Napolitano ha coinciso con l’anniversario dei 150 anni dell’Unita’ d’Italia e questo ha rappresentato l’opportunita’ – in continuita’ con l’azione del suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi – per rinsaldare lo spirito di coesione nazionale in un momento di grande difficolta’ per il Paese, respingendo (per la verita’ senza particolare affanno) pulsioni localistiche o separatistiche come quelle che vennero messe in campo per l’occasione dalla Lega Nord. Nei quasi due anni di mandato bis Napolitano si e’ sforzato di dare al Paese un governo solido. Finita l’era ‘tecnica’ di Monti, le elezioni 2013 hanno consegnato al Paese un M5S che ha raccolto oltre il 25% dei consensi, mettendo cosi’ in difficolta’ il Pd, reduce da un risultato di poco superiore. Pier Luigi Bersani, incaricato da Napolitano, non riesce a fare un governo e cede il passo a Enrico Letta, che guidera’ l’esecutivo per meno di un anno. Irrompe infatti sulla scena politica Matteo Renzi, che fa terra bruciata intorno a Letta costringendolo di fatto alle dimissioni nel febbraio 2014. Ed ecco che arriva il momento del sindaco di Firenze a Palazzo Chigi.

E’ l’unico (non era riuscito a Bersani e in parte a Letta) in grado di rendere innocuo il fuoco di sbarramento di Beppe Grillo e, grazie a contatti prima e accordi poi, costruisce un ponte con Silvio Berlusconi. Napolitano, avendo sempre come punto di riferimento le riforme, l’Europa e la stabilita’ dell’Italia affida l’incarico a Renzi. Insomma una presidenza complessa, gestita con vigore e rigore da questo signore napoletano d’altri tempi, che ha avuto il merito di tenere unito il Paese laddove avvenimenti particolari o calcoli politici rischiavano di produrre rotture. Un presidente applaudito in tutte le piazze d’Italia, indipendentemente dai colori politici locali. L’auspicio e’ che continui ad essere cosi’ e che almeno intorno alla figura del Capo dello Stato, l’acrimonia, la polemica politica – che sembrano ormai farla da padrone nella cronaca giornaliera – vengano messe da parte.