di Corrado Accaputo
Gli assassini di Giulio Regeni non hanno ancora un nome. Gli inquirenti egiziani hanno raccolto “informazioni” che “non escludono alcuna pista”. L’ultima ipotesi che giunge dal Cairo fa riferimento ad attività “criminale” o ad una “vendetta personale”. Ricostruzioni del sequestro e dell’omicidio del giovane ricercatore italiano considerate però l’ennesimo tentativo di depistaggio, di chiudere in fretta l’inchiesta. E, invece, sulla vicenda Regeni “l’Italia chiede a un Paese alleato verità e punizione dei colpevoli”. “Voglio essere chiaro: non ci accontenteremo di verità di comodo, di piste improbabili come quelle evocate stamattina al Cairo”, ha detto oggi il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Non bastano le promesse di collaborazione con gli inquirenti italiani inviati al Cairo; non sono sufficienti le presunte verità del presidente Abdel Fattah Al Sisi, secondo il quale “chi ha ucciso il giovane italiano mirava a colpire le relazioni tra Egitto e Italia”; da escludere sono infine le ultime “improbabili” ipotesi del ministero dell’Interno del Cairo: “l’indagine porta a diverse possibilità, tra cui l’attività criminale o il desiderio di vendetta a causa di motivi personali, tanto più che l’italiano aveva molti rapporti con persone vicine ai luoghi in cui viveva e studiava”. Gli inquirenti egiziani – ha confermato il procuratore di Giza, Ahmed Nagy – stanno cercando di fare luce sui suoi amici in Egitto: chi erano, chi lo aveva incontrato o contattato di recente, se con qualcuno di loro aveva avuto dei problemi personali. Per capire quale pista seguire, quali ipotesi avvalorare, tra le tante avanzate finora. “E’ stato il risultato di un errore bizzarro di un umile scagnozzo? Regeni è rimasto vittima di una retata di persone generalmente considerate sospette? O era un obiettivo mirato? E se sì, perché?” si interroga oggi il Guardian.
Domande a cui le indagini non hanno ancora saputo dare una risposta. “La cooperazione con il team investigativo italiano può e deve essere più efficace. I nostri investigatori non devono solo essere informati, ma devono avere accesso a documenti sonori e filmati, ai referti medici e a tutti gli atti del processo nelle mani della procura di Giza”, ha detto Gentiloni. In giornata il governo trasmetterà in proposito delle “richieste specifiche e dettagliate” attraverso gli opportuni canali diplomatici. “Il passare del tempo non ci farà desistere”, ha insistito il titolare della Farnesina. Regeni ha avuto una “fine atroce”, è stato “torturato e barbaramente ucciso”. Lui, come centinaia di egiziani. Secondo i dati raccolti da alcuni esperti di Egitto e di diritti umani in questo Paese, citati dal Guardian, l’assassinio di Regeni ha “tutte le caratteristiche di un omicidio extragiudiziario da parte della polizia dello Stato”, la stessa che “si ritiene sia dietro la scomparsa di 474 egiziani solo nel 2015”. Ma il caso del giovane ricercatore italiano spicca tra tutti: il suo è il primo omicidio di un accademico straniero al Cairo. Regeni, insomma, secondo gli esperti era il tipo di persona che poteva aspettarsi di essere molestata o espulsa per il suo lavoro, ma che al tempo stesso poteva e doveva sentirsi “protetto” dal suo passaporto. E’ andata diversamente. E l’Italia “pretende e pretenderà la verità: lo si deve alla famiglia ed alla dignità del nostro Paese”.