Senza dibattito interno Pd non è progressista

22 maggio 2014

“Quasi alle ultime battute della campagna elettorale, mi permetto di dire che non è coi ‘botta e risposta’ né con le smanie di protagonismo, ma con un grande senso di responsabilità che bisogna provare a rimettere la Sicilia sui binari corretti”. Lo afferma il deputato regionale del Partito Democratico Mariella Maggio alla vigilia del voto per le Europee in merito all’acceso dibattito che sta accompagnando gli ultimi scorci di campagna elettorale. “Quella degli uomini e delle donne di sinistra è una storia collettiva trasversale per età e percorsi politici. Ma alla base del dibattito politico non possono esserci le risse interne, che non conducono a nulla, o la ribellione a tutto e a tutti in nome degli estremismi. Alla base ci deve essere la necessità di ripensare qualitativamente al modello che vogliamo”.

In altri termini, il Pd, “senza dibattito interno, non è un più un partito progressista e tanto più non lo è quando esprime totale subalternità di idee e di azione al pensiero dominante”. “Sia del Governo centrale che di quello regionale. Pensiamo a rafforzare il rapporto con la base del partito e confrontarci con i movimenti. Concentrarsi sulla cronaca minuziosa della politica locale non rende un servizio reso alla democrazia: ci distrae dagli obiettivi. Se ne abbiamo. Andiamo oltre la retorica dell’antimafia – prosegue la Maggio -, che ci ha condotto sterilmente ancora discutere di ‘antimafia delle carriere’ e di ‘negazionismo’. Garantismo non vuol dire mafiosità. ‘Garantismo’ consiste nel semplice rispetto delle regole di uno Stato di diritto. Non ci si può limitare a guerre su chi è più antimafioso dell’altro. Peraltro, spostando il punto cardine dalla lotta alla mafia ai personaggi in campagna elettorale. E fare ciò in giorni come questi, dove si celebra il ricordo dei nostri uomini migliori che si sono sacrificati per la Sicilia, è ostile ad un’idea di redenzione e sviluppo per quest’Isola”.

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Sul fronte elettorale, invece, la vice presidente della Commissione Lavoro all’Ars, “quello alle Europee non viene considerato un voto politico per mandare in Europa persone capaci, quanto un test elettorale siculo”. “Il dibattito – conclude la Magio – in questo contesto, è caduto quasi naturalmente sul tema della faziosità perché non c’era un progetto politico di cui discutere. Ed è grave, in Sicilia, dove la strada è quella della piena attuazione delle politiche di sviluppo promosse dall’Unione europea”.

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