di Simona Salvi
Negli ultimi anni il Sudan ha deciso di “accelerare sulla strada di una collaborazione con la Comunità internazionale” con il chiaro intento di “essere riconosciuto come Paese cooperante”, come dimostra il dialogo di alto livello avviato con l’Unione europea a partire dal lancio del Processo di Khartoum, nell’ottobre-novembre 2014, sotto la presidenza italiana dell’Ue, per far fronte ai flussi di migranti che arrivano dal Corno d’Africa. E’ quanto ha dichiarato ad askanews l’ambasciatore italiano in Sudan, Fabrizio Lobasso, presente la scorsa settimana a Roma per la firma del memorandum of understanding tra il capo della polizia italiano, Franco Gabrielli, e il suo omologo sudanese Hashim Osman al Hussein. Un accordo che nasce in ambito bilaterale, ma che “ovviamente si inscrive all’interno del progetto europeo sul fronte migratorio”, in particolare proprio del Processo di Khartoum e del Fondo fiduciario dell’Ue lanciato lo scorso anno al vertice con i leader africani a La Valletta. Proprio la crisi migratoria ha spinto di recente l’Ue a rivedere la propria politica verso il Sudan, governato dal 1989 dal presidente Omar al Bashir, accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) di crimini contro l’umanità e genocidio commessi nella regione occidentale del Darfur. Lo scorso febbraio, l’Ue ha infatti annunciato aiuti da 100 milioni di euro al termine della visita a Bruxelles del ministro degli Esteri sudanese Ibrahim Ghandour, definita “il primo passo che segna la direzione della futura cooperazione tra Ue e Sudan”, elogiando al contempo “il ruolo costruttivo” svolto da Khartoum nella regione.
Ad aprile, quindi, il Commissario europeo per la Cooperazione internazionale, Neven Mimica, è stato in visita nel Paese, dove ha incontrato alti funzionari del Paese, tra cui il vicepresidente, precisando che gli aiuti finanzieranno progetti volti a migliorare le condizioni di vita di profughi, sfollati interni e comunità ospitanti, “a sostenere il reinserimento di quanti tornano nel Paese e a migliorare la sicurezza alle frontiere”. Il nuovo atteggiamento dell’Ue non ha mancato di sollevare critiche, a fronte delle violazioni dei diritti umani contestati al governo sudanese. Lo stesso ambasciatore italiano ha ammesso che la “situazione interna lascia ancora insoddisfatta la Comunità internazionale su una serie di questioni, tra cui quella del rispetto dei diritti umani”, ma il Sudan è “pronto a collaborare su tutti i fronti, sia con l’Italia che con l’Ue, e riguardo ai flussi migratori, nel corso degli ultimi due anni “ha dato prova di voler contrastare il fenomeno e di voler collaborare con la comunità internazionale attraverso una serie di normative interne e con la partecipazione ai vertici internazionali”. Anche sul fronte interno fa ben sperare la firma, l’8 agosto scorso, di una road map da parte di governo e partiti di opposizione per mettere fine ai conflitti in atto da anni nelle regioni del Darfur, del Nilo Blu e del Sud Kordofan. “Un altro piccolo passo” di un processo che “seguiremo con attenzione”, ha aggiunto Lobasso, con l’auspicio che si arrivi presto a misure pratiche per una cessazione totale delle ostilità, la ripresa dei negoziati e soprattutto l’accesso totale, generalizzato nelle zone” dove è maggiore il bisogno di aiuti umanitari. Sono oltre tre milioni gli sfollati interni al Sudan a causa di questi conflitti, a cui si vanno ad aggiungersi quanti arrivano da Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Cia, Eritrea, Etiopia: alla fine del 2015, stando a dati Onu, erano 322.000 i rifugiati e richiedenti asilo.
In tale contesto si colloca il memorandum of understanding firmato tra Italia e Sudan. “I negoziati erano iniziati nel 2012-2013, ma avevano poi subito dei rallentamenti – ha spiegato Lobasso – siamo riusciti a sbloccarli proprio per il cresciuto interesse sul fronte migratorio. L’intesa riguarderà innanzitutto la collaborazione bilaterale a livello di formazione e specializzazione, soprattutto dei funzionari sudanesi che verranno in Italia, e per quanto rigarda la questione complessa dei rimpatri”. Al momento non è ancora stato determinato il costo di tale accordo, perché “i fondi verranno di volta a volta precisati, a seconda delle necessità che emergeranno nelle continue consultazioni tra Italia e Sudan”. Di fatto l’accordo andrà a rafforzare “la cooperazione bilaterale tra forze di polizia, su tematiche che vanno dall’immigrazione clandestina alla contraffazione di documenti al traffico di esseri umani e di organi, alla corruzione”, con l’obiettivo più generale di “incidere sulle dinamiche migratorie e affrontare la questione alla radice, con una forte opera di formazione, di training, di scambio di informazioni e tecnologie e professionalità”. A fronte delle accuse mosse negli scorsi anni da diverse organizzazioni per i diritti umani alle forze di sicurezza sudanesi di essere complici del traffico di migranti, l’ambasciatore ha riconosciuto che “è innegabile che in qualsiasi situazione in cui regni il caos, ci possa essere una sacca di malaffare, il corrotto che può trarre profitto dall’ingenuità e dalla debolezza dei migranti”, ma è anche vero, ha aggiunto, che “il Sudan, da ormai due anni, si è dichiarato assolutamente contrario a ogni forma di proliferazione di fenomeni irregolari”, come dimostrato anche dai recenti arresti e rimpatri di eritrei ed etiopi accusati di “ingresso illegale” nel Paese.
In tale contesto, ha rafforzato la collaborazione anche con i Paesi della regione per fronteggiare i flussi alle frontiere, soprattutto a Gedaref e Kassala, nell’Est del Paese, e lavora in tal senso anche in ambito Igad (organizzazione regionale dell’Africa orientale, ndr) e Unione africana. “Ma questo tipo di collaborazione ha bisogno della comunità internazionale per poter beneficiare di esperienze e professionalità più avanzate” e l’Italia, suo malgrado, ha un ruolo “da protagonista, perché principale paese destinatario” dei flussi. L’Italia è impegnata ormai dal 2006 anche in progetti di cooperazione proprio nelle regioni orientali sudanesi, con progetti in ambito sanitario e dell’empowerment delle autonomie locali. E due anni fa l’Ue ha affidato proprio all’Italia progetti di cooperazione delegata per lo sviluppo del sistema sanitario e per il miglioramento dell’accesso alle cure delle popolazioni più vulnerabili, per complessivi 13,1 milioni di euro. Una presenza che dovrebbe essere rafforzata nei prossimi mesi, con nuovi finanziamenti Ue per il prosieguo dei progetti già avviati, ma rimodellati proprio dalla necessità di tenere conto della popolazione migrante. Perchè la crisi migratoria sta “cambiando anche il volto della cooperazione, ormai fortemente intrisa di ambito migratorio”. (foto, da sx Lobasso, Gabrielli)