Turchia, a meno di due mesi dal golpe purghe sempre più aspre

Turchia, a meno di due mesi dal golpe purghe sempre più aspre
12 settembre 2016

A meno di due mesi dal tentato golpe del 15 luglio scorso, le purghe avviate all’interno delle istituzioni pubbliche e private dal governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) continuano ad allargarsi. Estendendosi sempre più al movimento politico curdo. Fino ad ora oltre 81mila persone sono state licenziate da istituzioni pubbliche e private per presunti legami con “l’organizzazione terroristica Fethullah” (FETO), accusata di essere responsabile del colpo di stato. La settimana scorsa è stata la volta di 11mila insegnanti che hanno perso il posto, perché ritenuti, questa volta, dei sostenitori del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan, considerata un’organizzazione terroristica da Turchia, USA e UE). E ieri, il ministero dell’Interno, ha commissariato 28 comuni – 24 dei quali gestiti dal partito curdo DBP – perchè a detta del governo finanziavano attività di terrorismo. Se l’opposizione da tempo grida ad una “caccia alle streghe” mirata ad azzittire qualsiasi voce dissidente, con il commissariamento delle municipalità sembra raggiunta una nuova soglia che i critici non esitano a definire un vero e proprio “colpo di stato civile”. Quest’ultimo provvedimento, per sè contrario alla Costituzione, è infatti stato possibile grazie ad uno dei numerosi decreti legge che il governo di Ankara emanati nelle ultime settimane, forte della condizione creata dallo stato di emergenza che dovrebbe concludersi il prossimo 20 ottobre, salvo una probabile dilatazione di altri 3 mesi. E difatti colpisce una fondamentale differenza per quanto riguarda il rispetto della volontà dei cittadini che hanno eletto i sindaci delle municipalità commissariate.

In quattro dei 28 comuni interessati dalla decisione del ministero dell’Interno (quelle situate nelle province di Erzurum, Adana, Konya e Giresun, di cui tre sono gestite dall’AKP e una dal nazionalista MHP) i sindaci destituiti – perchè accusati di sostenere FETO – sono stati sostituiti da altri membri dello stesso partito. Per quanto riguarda i 24 comuni – accusati di finanziare il PKK – gestiti dall’amministrazione del partito curdo DBP (Partito della democrazia e della pace), va notato invece che i sindaci democraticamente eletti dai cittadini sono stati sostituiti con i viceprefetti delle province, nominati dal governo AKP. Due pesi e due misure, che stando a quanto riporta Abdulkadir Selvi, analista di Hurriyet noto per per i suoi contatti tra i circoli del governo, segnalerebbe il “primo passo” di una “nuova fase” nella lotta contro il PKK. Si tratterebbe di “una versione avanzata del concetto di terrorismo preventivo” resa possibile (anche) “grazie al cambiamento registrato al ministero dell’Interno”. Il riferimento dell’analista va a Suleyman Soylu, che all’inizio del mese ha sostituito l’ex ministro dell’Interno Efkan Ala, perché ritenuto probabilmente troppo “passivo”. Selvi riferisce che l’ex ministro avrebbe avuto delle remore per quanto riguarda la sospensione dei sindaci eletti dai cittadini. Per Soylu si tratta invece di un provvedimento mirato a proteggere la democrazia. “Essere stati eletti non significa poter abusare della legge e della democrazia”, ha affermato il ministro dell’Interno dell’AKP.

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Sembra inoltre che il provvedimento sembra possa avere un seguito, visto che il premier Binali Yildirim ha già dato un segnale in questo senso. Mentre l’analista di Hurriyet, basandosi sulle proprie fonti, afferma invece che ora sarebbe “arrivato il momento dell’arresto di alcuni deputati del filo-curdo Partito democratico dei popoli (HDP)”. Una possibilità verosimile, se si considera che l’immunità parlamentare di quasi tutti i 59 deputati HDP è stata revocata negli scorsi mesi e che a turno, nelle scorse settimane i parlamentari sono chiamati a deporre in tribunale – una imposizione alla quale si sono finora rifiutati di seguire. L’inasprimento delle misure del governo turco contro il movimento politico curdo – demonizzato da Ankara a partire dalle elezioni politiche del 2015, anno in cui a seguito del successo elettorale dell’HDP sono ripresi gli scontri con il PKK e l’esercito turco – risultano seguire un percorso parallelo all’avanzata dei curdi dello YPG (braccio armato siriano del PKK) sulla frontiera turco-siriana. E mentre i militanti curdi continuano ad effettuare attentati in Turchia, dal carcere, il leader storico del PKK Abdullah Ocalan – dopo più di un anno trascorso senza che gli venisse concesso di incontrare anche solo gli avvocati – ha inviato un messaggio per il tramite del fratello. “Abbiamo della proposte. Se lo stato turco è disposto ad ascoltarci, potremo portare a buon fine i colloqui e concretizzarli nel giro di sei mesi”, ha detto Ocalan. Ma la pace per ora non sembra essere nell’agenda di Ankara.

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