di Gianni Todini
Con molta probabilità domani ci siamo. Anche perché, “se si continuerà a guardare al cambiamento climatico come lontano nel tempo, pensando agli orsi polari che vedono drammaticamente sciogliersi i ghiacci del loro habitat, non centreremo mai l’obiettivo, mentre se i cambiamenti climatici sono riferiti alle zone climatiche tutto diventa comprensibile”. Sufficiente dire allora che “le aree aride e desertiche sono in rapida espansione e che nel giro di 10 anni potremmo avere, magari solo a Sciacca per iniziare, il Sahara che si è spostato in Sicilia”. Il messaggio, forte e chiaro, arriva dall’economista e consulente internazionale Valentino Piana, uno dei massimi esperti dell’economia decarbonizzata, la cosiddetta green economy, impegnato in questi giorni a Oxford in uno dei summit scientifici più importanti con focus sulla ricerca dei percorsi per il “non superamento di quel grado e mezzo di temperatura del pianeta, rispetto all’era pre-industriale, nella road map, diplomaticamente non semplice, disegnata dall’accordo di Parigi del dicembre 2015 alla COP21”, parte integrante della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici dell’Onu, l’Unfcc. Andare sopra “1,5 degrees” senza tagliare sufficientemente le emissioni di CO2 a livello globale, ricorda Piana, “significa nel decennio o prima veder completamente sommerse le piccole isole del Pacifico, ma significa anche il raddoppio dei periodi di siccità e dunque delle aree desertificate nel Mediterraneo, che già sono costate l’esplosione di conflitti come quello in Siria, e milioni di migranti climatici”. “Significa – aggiunge Piana, che partecipa stabilmente ai negoziati sui cambiamenti climatici in ambito Onu – vedere l’Algeria resa non più abitabile. E non mi pare ci siano così tanti chilometri tra l’Algeria e il sud del nostro Paese, che a quel punto in alcune aree della Sicilia avrebbe caratteristiche simili all’Algeria di oggi”.
Domani comunque è uno di quei giorni in cui la storia può iniziare seriamente a cambiare. A New York il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon (foto) ha convocato un evento ad alto livello proprio sull’entrata in vigore dell’accordo di Parigi, che necessita delle ratifiche ufficiali di almeno 55 paesi per una percentuale complessiva di emissioni mondiali pari o superiore al 55%. Ventisette le nazioni che hanno già detto sì alla transizione dal fossile alla nuova economia sostenibile, tra queste Cina e Stati Uniti, per un totale del 39,08 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. L’accordo di Parigi entrerà in vigore 30 giorni dopo il raggiungimento del “55+55”: “E credo che il segretario generale dell’Onu domani riuscirà a completarne almeno la prima parte, presentando 55 ratifiche – spiega Valentino Piana -. Ne sono ufficialmente annunciate, oltre alle prime 27, altre 20. Tra queste il Brasile, ma moltissime sono di piccoli paesi, dove il peso della diplomazia Onu si è fatto finora sentire, così come la preoccupazione, vedi le isole. La partita che si apre è più che altro legata al raggiungimento del 55% delle emissioni, lì sono i paesi big a poter spingere, finanziando la transizione delle economie in via di sviluppo. Come nel caso dell’India, che ancora non ha firmato. Anche la Russia, in questo senso, può svolgere un ruolo determinante e magari attende l’ultimo minuto per portare la quota oltre la soglia richiesta”.
E l’Italia? “Vale l’1 per cento delle emissioni, ha spinto a Parigi insieme a tutta l’Ue, in aprile ha firmato l’impegno all’Onu con Renzi. La fase è adesso analogamente importante, perchè quell’1 per cento potrebbe essere una sorta di golden share da spendere sul filo di lana. Ricordo infatti che se il “55+55” si raggiunge entro il 7 ottobre, la prossima COP22, in programma a Marrakesh a novembre, sarà la prima post Parigi, ben quattro anni in anticipo rispetto alla tabella programmata nella capitale francese e recuperando il ritardo accumulato con il fallimento di Copenaghen. E, tornando a ciò che potrebbe fare l’Italia, segnalo che può esser valido, almeno in questa fase, oltre a una firma di persona nelle mani di Ban ki-moon, come ha fatto Obama, anche un videomessaggio di accettazione a livello di premier o di ministro degli Esteri “. E poi? “Poi in Marocco si potrebbero già scrivere le regole dell’accordo di Parigi, quelle sui controlli, sulla trasparenza e il rispetto degli impegni. Peccato che se l’Europa, che in questo momento mostra molta buona volontà ma rarissime vere ratifiche, non sarà nei 55 primi firmatari, alla COP22 in Marocco le regole le scriveranno tutti gli altri, per esempio quelli che stanno sparendo”. Con una regia tecnica “affidata ad oggi ad Arabia Saudita e Nuova Zelanda”, conclude perplesso Piana.