L’America non è una “repubblica delle banane, ma una grande potenza” e quindi la Russia non può influenzare il voto del prossimo 8 novembre: così Vladimir Putin ha respinto le accuse statunitensi di attacchi hacker orchestrati da Mosca. Accuse folli e assurde, ha detto il presidente russo, come “folle e assurda” è l’idea che la Russia possa avere “un preferito” da aiutare nella corsa alla Casa Bianca, cioè Donald Trump, che vuole rilanciare le relazioni russo-americane e che “certo è stravagante, ma sa parlare alla gente comune, a chi è stanco delle elite da decenni al potere”. Le elezioni americane e il rapporto con gli Usa – mai così tesi da decenni – sono state uno dei punti centrali delle oltre tre ore di botta e risposta con il leader del Cremlino alla riunione annuale del Valdai Club, a Sochi. Tre ore con Putin all’attacco, su un bersaglio quasi unico: gli Stati Uniti. E all’Occidente che vede una Russia sempre più aggressiva e con crescenti mire internazionali, ha assicurato – rispondendo ad Askanews – che non c’è nessuna intenzione di lanciare un’azione militare in Iraq o in Libia. “Non prevediamo niente del genere”, ha dichiarato, secco.
Così il presidente russo ha puntato il dito contro quell’America che “dopo il crollo dell’Urss ha pensato che non bisognasse più mettersi d’accordo con nessuno”, che è intervenuta in Afghanistan, in Iraq, poi in Libia senza passare per l’Onu o superandone il mandato. Le “violazioni” erano iniziate già con i Balcani, oggi con la Siria, ha martellato il capo dello Stato russo, e questa è “la strada verso il caos”. E ancora contro Barack Obama, Putin ha condiviso un retroscena sulla tregua di settembre: durante un colloquio in Cina avevo ceduto alla richiesta del presidente americano di avere sette giorni di tregua per mettere in campo la separazione tra jihadisti, membri di Al Nusra e “opposizione buona”, ha raccontato, “non capivo perché sette giorni, alla fine ho detto, va bene, che l’abbia vinta lui. Poi l’aviazione Usa ha bombardato la base siriana e ucciso 62 militari e la tregua è saltata, non certo per colpa nostra”. Quindi è “indecente”, ha detto, “che accusino la Russia, noi ci tratteniamo dal replicare maleducatamente, ma ci sono limiti, possiamo rispondere a un certo punto”.
E via così, criticando Washington anche per la sospensione dell’accordo sullo smaltimento del plutonio: “gli Usa non solo non hanno rispettato gli obblighi assunti, ma ci hanno detto che non l’avrebbero proprio fatto, invocando problemi finanziari, come se noi non ne avessimo”. Male su tutto, insomma: “oggi è molto difficile parlare con l’amministrazione americana, perché non fanno niente di quello che dovrebbero fare”, ha concluso Putin. Il leader russo che invoca il ritorno alle regole dell’Onu per la crisi siriana guarda già al prossimo presidente Usa: gli accordi con Obama non hanno funzionato, vedremo dopo le elezioni, ha affermato, ribadendo ad ogni invettiva un’offerta di rinnovato dialogo e collaborazione. “Tutti vorrebbero meno tensioni geopolitiche, ma non al prezzo dei propri funerali”, ha detto. “Sentiamo sempre parlare di Aleppo, Aleppo, Aleppo. Allora non tocchiamo Aleppo, ma allora non tocchiamo neppure Raqqa”, ha aggiunto provocatoriamente.”.