Iniziato l’otto dicembre del 2015 in una Roma blindata per il timore di attentati terroristici, senza una giunta in Campidoglio, e mentre il tribunale di Roma avviava il processo a “mafia capitale”, il Giubileo della misericordia di Papa Francesco si è concluso ieri con un calo relativo di pellegrini giunti a Roma, ma, come sottolinea il Vaticano, ha registrato una buona partecipazione di cattolici nelle diocesi di tutto il mondo nel primo anno santo “decentralizzato” della Chiesa. Quando Jorge Mario Bergoglio annunciò la convocazione del Giubileo straordinario, a marzo, sia il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sia il premier Matteo Renzi, sia l’allora sindaco di Roma, Ignazio Marino, lo appresero dalla televisione. Nessuno sgarro istituzionale, nelle intenzioni di Papa Francesco, ma il desiderio di un anno santo spirituale, che non fosse un appuntamento mondano né un’occasione di business, e, soprattutto, che, non si svolgesse solo a Roma.
Per la prima volta nella storia dei Giubilei, infatti, tenendo anche conto la difficile situazione economica di tanti fedeli in giro per il mondo, il primo Pontefice della globalizzazione ha stabilito sin da subito che una porta santa si sarebbe aperta in ogni cattedrale o chiesa maggiore di ogni diocesi del mondo. Francesco stesso, per sottolineare il concetto, ha anticipato, di fatto, l’avvio dell’anno santo aprendo la porta santa della cattedrale di Bangui, in Repubblica centrafricana, pochi giorni prima di aprire quella di San Pietro, l’otto dicembre. Nel frattempo, sull’organizzazione del Giubileo erano cadute tre tegole. Il 30 ottobre 2015 era decaduto il sindaco di Roma Ignazio Marino, in polemica con il suo partito (Pd) e la sua giunta, e per Roma si è avviata il commissariamento, prima, e, la scorsa primavere, l’insediamento di una nuova Giunta, guidata dalla grillina Virginia Raggi, i cui inizi sono stati non privi di difficoltà. Le promesse dell’epoca di Marino (per quanto limitati per l’austerity, lavori pubblici, organizzazione, pulizia) sono rimaste, a volte, sulla carta. Il cinque novembre successivo è iniziato al tribunale di Roma il processo a “mafia capitale”, un procedimento tuttora in corso durante il quale, peraltro, un imputato chiave ha indicato proprio il Giubileo del 2000, precedente di quello che si è chiuso ieri, come il laboratorio in cui è nato il sodalizio messo sotto la lente di ingrandimento dagli inquirenti romani.
Il 13 novembre, infine, gli attentati di Parigi, il timore che l’Isis volesse colpire anche Roma, la sicurezza che blinda la capitale d’Italia per un Giubileo della misericordia che parte con foze dell’ordine e esercito in ogni angolo della città. Alla fine il risultato è stato un calo, relativo, del numero di pellegrini giunti a Roma. Secondo l’arcivescovo Rino Fisichella, “hanno partecipato al Giubileo qui in Roma 21.292.926 pellegrini”, mentre la valutazione è che siano stati “900-950 milioni di fedeli che in tutto il mondo hanno attraversato la Porta Santa”. Cifre non certo verificabili, ma in ogni caso, inferiori ai 32 milioni del Grande Giubileo dell’Anno 2000. Sempre secondo monsignore, a Roma nel corso dell’evento si sono riscontrati “limiti strutturali ed organizzativi”. “Del resto – tuona Fisichella – per tutto l’Anno Santo bastava andare intorno al Vaticano, a Borgo, in via dei Corridori per constatarne le precarietà in materia di pulizia e manutenzione. E’ mancata, inoltre, una dimensione culturale all’altezza degli eventi giubilari. Non sono state organizzati mostre ed eventi artistici. I pellegrini hanno visto i grandi limiti strutturali di Roma, senza tuttavia perdere di vista la dimensione spirituale del Giubileo che non è mai mancata”.