La penisola egiziana del Sinai, ultimo rifugio dei jihadisti dello Stato Islamico (Isis). E’ quanto prospettano diversi analisti alla luce delle numerose sconfitte che l’organizzazione terroristica sta subendo, anche in termini territoriali come in Iraq e Siria. L’Isis, nel Nord della penisola che confina con Israele, conta su uno dei suoi rami più letali, conosciuto come la “Provincia del Sinai”, che da tre anni ha intrapreso una feroce guerra contro le forze egiziane, uccidendo centinaia di soldati e poliziotti. Il gruppo che si faceva chiamare “Ansar Beit al Maqdiss” (“Partigiani della Casa di Gerusalemme”) ha anche rivendicato l’abbattimento di un aereo di linea russo che trasportava turisti da una località a Sud del Sinai nell’ottobre 2015: un attacco costato la vita a tutte le 224 persone a bordo. Da allora, il turismo in Egitto deve ancora riprendersi. La filiale egiziana dell’Isis non è stata tuttavia capace di occupare centri abitati come ha fatto in Iraq e Siria. Nel 2015, un fallito tentativo di conquistare una città è finito con lo scatenare gli F-16 dell’aviazione delm presidente Abdul Fattah Al Sisis contro i jihadisti. Da allora, il gruppo ha cercato di tenere il passo di una guerra di logoramento costante, con ordigni seminati sul ciglio delle strade, cecchini e attacchi kamikaze ai checkpoint come quello di ieri sera nella città settentrionale di Arish: 11 soldati uccisi. Negli ultimi tempi, nel tentativo di creare una zona cuscinetto lungo la Striscia di Gaza controllata dagli islamisti di Hamas, l’esercito egiziano ha istituito diversi posti di blocco e distrutto tunnel sotteranei di collegamento con l’encalve palestinese. “Il più grande successo dei militari è che sono stati in grado di contenere l’insurrezione, in generale, nel Nord del Sinai”, ha detto Jantzen Garnett, un esperto in materia di jihad islamica che lavora per la società di analisi Navanti Group. Una insurrezione decollata nel 2013 dopo lo spodestamento dell’ex presidente islamista Mohamed Morsi.
PROGRESSI A BREVE TERMINE Dopo tre anni di insurrezione, però, una vittoria decisiva contro i jihadisti appare distante, come suggerisce l’attacco di ieri. Contro la Provincia del Sinai dell’Isis, “l’esercito egiziano ha fatto qualche progresso a breve termine nell’ultimo anno, ma il gruppo militante continua ad adattarsi e questo progresso non deve essere interpretato come successo a lungo termine”, ha detto Garnett. “L’esercito ha aumentato la sua presenza nel Sinai dopo il tentativo di espugnare Sheikh Zuweid a luglio”, ha ricordato l’analista arabo Mokhtar Awad, riferendosi al fallito assalto dei jihadisti alla città nel 2015. Di contro, gli uomini del Califfato nero “hanno raddoppiato gli attacchi, seminando ordigni esplosivi e cecchini”, come ha aggiunto Awad, un ricercatore di un programma sull’estremismo della George Washington University. Non solo, ma gli questi irriducibili uomini che hanno giurato fedeltà al Califfo al Baghdadi, hanno anche aumentato gli omicidi di ufficiali e rapimenti ed esecuzioni di presunti informatori. In due casi hanno ripreso pubblicamente le loro gesta nelle strade della capitale del Nord Sinai Al-Arish. Difficile verificare il bilancio delle vittime nelle file dei militari: l’esercito a volte pubblica dati sulle sue vittime, come ha fatto ieri, ma non sempre rende noto il numero delle vittime degli attacchi che subisce. Nel solo mese di novembre i media egiziani hanno raccontato i funerali di almeno 10 militari, tra soldati e ufficiali dell’esercito, senza contare gli 11 uccisi giovedì. Impossibile accertare il bilancio tra i jihadisti, che non rivelano niente sui loro morti che secondo l’esercito del Cairo si contano a centinaia.
LEADER UCCISO “C’è sempre del torbido quando si tratta di valutare il quadro nel Sinai, a causa dei limiti nella verifica”, ha affermato Awad. La gerarchia dell’organizzazione rimane pertanto un mistero. Nel mese di agosto, l’esercito ha annunciato di aver ucciso il leader più importante del gruppo nel Sinai, identificato come Abu Duaa, senza fornire ulteriori dettagli. Ma il soprannome “Ansari” – utilizzato dai jihadisti nel Sinai per i locali della penisola – suggerisce che era un beduino del Sinai. Un jihadista catturato e interrogato ha detto che l’identità del leader nella gerarchia del gruppo era sconosciuta e che passava le istruzioni attraverso un subordinato. Sotto il leader – indicato come Wali, o emiro – le responsabilità sono divise tra i comandanti di “Sicurezza”, “Affari militari,”, “Produzione bombe” oltre alle sezioni media. Stando a verbali di interrogatori visionati da France Presse, il comandante della propaganda è Shadi el-Menei, un noto militante beduino; altri sono identificati da nomi in codice. Menei era un leader di spicco del gruppo Ansar al-Beit Maqdis prima giurare fedeltà allo Stato Islamico, nel novembre 2014, lo stesso anno in cui venne proclamato il Califfato da Mosul, in Iraq. Ansar Beit al Maqdis è un’evoluzione di un gruppo militante sciolto, chiamato Consiglio dello Shura dei Mujahidin, attivo in attacchi contro Israele nell’anno seguente al rovesciamento del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak nel febbraio 2011. Inoltre questo gruppo, avvalendosi della partecipazione di militanti palestinesi insieme a jihadisti dalla vicina Striscia di Gaza e di beduini locali, aveva condotto sanguinosi attacchi contro località turistiche del Sinai il 2004 e il 2006.