Referendum, dopo il 4 la palla passa a Renzi. Mattarella, un “arbitro” pronto a dire la sua

Referendum, dopo il 4 la palla passa a Renzi. Mattarella, un “arbitro” pronto a dire la sua
3 dicembre 2016

Quello che accadrà il 5 dicembre, lunedì, il giorno dopo il referendum costituzionale è in mano solo ed esclusivamente al presidente del Consiglio – e, da non sottovalutare, segretario del Pd – Matteo Renzi. A questo atteggiamento dovrà evidentemente ‘rispondere’ il capo dello Stato Sergio Mattarella, un “arbitro” pronto a dire la sua ma sempre attento alle dinamiche parlamentari e alle sue prerogative. Fino a prendere atto della possibile indisponibilità del premier a continuare, in caso di sconfitta seppur di misura al referendum e formalizzare la crisi. Renzi, nel caso di sconfitta, non ha certo l’obbligo costituzionale delle dimissioni – non è mai successo che un referendum, quale che sia, porti alla crisi di governo e al conseguente scioglimento delle Camere – perché la consultazione (e gli schieramenti che genera) è un fatto eminentemente politico.

Ovviamente se Renzi dovesse vincere il referendum il Quirinale non sarà interpellato. Analogamente, se dovesse vincere il No (e che rimarrebbe sempre e comunque un fatto politico e non parlamentare) il Colle non avrebbe titolo a intervenire. Questo perché la sollecitazione ad un eventuale cambio di governo dovrebbe arrivare dal presidente del Consiglio in carica. In sostanza, deve essere Renzi a “bussare al citofono” del Colle per dire che si dimette. A questo punto Mattarella ha davanti due possibilità: il rinvio alle Camere per verificare l’esistenza di una fiducia all’esecutivo; l’apertura delle consultazioni nel caso le dimissioni del premier fossero irrevocabili. In sostanza Renzi di fronte ad una vittoria del No al referendum o a una valutazione politico-percentuale della sua sconfitta, potrebbe dire – al di là dei pronunciamenti parlamentari – di non avere più intenzione di guidare l’esecutivo. E’ bene ricordare che Mattarella in questi giorni, incontrando degli studenti, ha sostenuto come il suo sia un ruolo di “arbitro”: quando “il gioco si svolge regolarmente, senza falli e irregolarità, l’arbitro neppure si nota, quasi non ci si accorge”. Il compito del presidente della Repubblica, ha ricordato, è fatto di “esortazione e suggerimenti”, un’azione svolta “attraverso la persuasione. È un lavoro che non si vede e che non si fa con proclami”. Affermazioni queste di Mattarella di carattere generale ma che non possono non richiamare l’attuale e complessa situazione politica.

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Insomma, un presidente della Repubblica arbitro – o notaio, come spesso erroneamente si è detto – che però non è esente dalle sue considerazioni. Anche perché Mattarella, prima di ogni valutazione su una eventuale crisi del governo Renzi, dovrà tenere conto dei numeri in Parlamento. Numeri che vedono nel Partito democratico la forza politica più forte, con una maggioranza in grado di dettare legge. Quello che in sostanza emerge è che il capo dello Stato non può fare nulla se non ci sarà una crisi conclamata, dovuta alla mancanza di numeri in Parlamento o a dimissioni irrevocabili di Renzi. Ma sono dimissioni che dovrebbero essere appoggiate dal partito del, premier, il Pd. E qui nasce la contraddizione di Renzi, da un lato presidente del Consiglio e dall’altro segretario del Partito democratico: il premier si dimette ma sa benissimo che nessun governo può nascere se non c’è una partecipazione del Pd. A meno che non si abbia un “golpe” all’interno dello stesso partito, con Bersani, D’Alema e la sinistra Dem che si accorderebbero con gli avversari di sempre Salvini, Berlusconi, Meloni, Grillo, per far nascere un nuovo esecutivo. Peraltro con il necessario avallo del capo dello Stato. La questione in fin dei conti è che, finché Renzi sarà segretario del Pd e avrà la maggioranza alle Camere nessuno potrà contrastarlo, le decisioni sul governo saranno sue. Fermo restando il ruolo del capo dello Stato Sergio Mattarella, la cui strada sembra essere molto chiara: se dovesse esserci crisi di governo la strada più semplice sarà il rinvio dell’esecutivo dimissionario alle Camere; nel caso di assoluta indisponibilità del premier a continuare la sua avventura governativa ci sarà l’apertura della crisi.

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