Cinque anni nel mirino e, alla fine, ce l’hanno fatta: Kim Jong Nam (foto), l’uomo che avrebbe dovuto ascendere al trono della Corea del Nord e che invece era finito ai margini del regime, non c’è più. Resta ancora tutta da scrivere la storia di questa morte eccellente perché, come sempre, le notizie che riguardano la Nordcorea sono controverse. Ma, a questo punto, dopo una serie di conferme (e pure in mancanza di quella ufficiale malaysiana), sembrano esservi pochi dubbi sull’identità del cittadino di Pyongyang ucciso lunedì nell’aeroporto di Kuala Lumpur, identificato in un primo momento col nome di Kim Chol: in realtà si tratta del primo figlio di Kim Jong Il, fratellastro dell’attuale dittatore Kim Jong Un. E, se la vittima è proprio Jong Nam, allora ci sono anche pochi dubbi su chi sia il mandante di quello che, in tutta evidenza, è un assassinio. Il Nis, servizio segreto sudcoreano le cui informazioni vanno sempre prese con le molle, ha puntato immediatamente e chiaramente il dito contro il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Ha anche rivelato, per bocca del suo capo Lee Byung-ho, in una riunione a porte chiuse i cui dettagli sono però trapelati, che il primo figlio di Kim Jong Il aveva da tempo chiesto aiuto. Nel 2012 dalla Corea del Nord era arrivato l’ordine di ucciderlo e nell’aprile dello stesso anno “Jong Nam inviò una lettera” in cui chiedeva di “risparmiare lui e la sua famiglia”, ha riferito il capo dell’intelligence sudcoreana, secondo un membro della commissione parlamentare sudcoreana per i servizi, Kim Byung-kee. “Aggiungeva – ha riferito il deputato – ‘non sappiamo dove andare…sappiamo che l’unica via di fuga è il suicidio'”. L’ex moglie e l’attuale moglie di Jong Nam e i tre figli vivono attualmente tra Pechino e Macao e sono “sotto protezione da parte delle autorità cinesi”, ha riferito un altro deputato sudcoreano aggiungendo che Jong Nam era arrivato in Malaysia il 6 febbraio.
SPRAY TOSSICO L’assassinio, a quanto è stato raccontato, ha tutti i crismi della storia alla Le Carré. Due o più giovani donne – spie nordcoreane, secondo Seoul – avrebbero spruzzato uno spray tossico sul passeggero nordcoreano, il quale sarebbe stato anche soccorso, ma senza esito. Lo Straits Times, giornale di Singapore, ha pubblicato la foto di una delle presunte assassine: indossa una maglietta con la scritta LOL (“tante risate” nel gergo di internet). Dalla polizia malaysiana, che sta indagando sull’uccisione, è arrivata la notizia che una donna è stata arrestata. Sarebbe detentrice di un passaporto vietnamita, a nome Doan Thi Huong, 28 anni. Ma, quando si parla di queste vicende, i passaporti sono carta straccia. Kim Jong Nam sarebbe stato diretto a Macao, il territorio cinese ex colonia portoghese e paradiso dei casinò e di tanti traffici ai quali il primo figlio di Kim Jong Il non era certamente estraneo. La protezione di cui godeva in Cina, per quanto in Corea del Nord fosse caduto in disgrazia ormai da molti anni, è stata interpretata da diversi analisti come una forma di “pressione” sul riottoso fratellastro minore da parte di Pechino. E’ noto che il presidente Xi Jinping detesta l’alleato così poco propenso ad accettare gli appelli alla prudenza della potenza vicina e principale finanziatrice del suo regime. I ripetuti test nucleari e balistici, l’ultimo dei quali solo pochi giorni fa, sarebbero avvenuti nonostante la contrarietà cinese, che non a caso ha approvato l’inasprimento delle sanzioni nei confronti di Pyongyang in consiglio di sicurezza Onu.
GLI AFFARI L’assassinio di Jong Nam, se verrà confermato e se verrà confermata la matrice, è il più importante di questo genere dopo l’esecuzione dello zio Jang Song Thaek, avvenuta nel 2013. Anche in quel caso gli osservatori di cose nordcoreane misero l’accento sui buoni rapporti che Jang intratteneva con Pechino. Comunque diversi segnali d’instabilità sono venuti recentemente dalla Corea del Nord. L’ultimo è il siluramento – anche questo tutto da confermare, visto che la fonte è il governo di Seoul – di Kim Won Hong, capo della sicurezza nordcoreana. Speculazioni, ma di più non possibile fare a caldo in vicende di questo genere. Di certo la vita di Kim Jong Nam non è stata banale. Il primo figlio di Kim Jong Il – amatissimo e poi fonte di delusione – era nato a maggio del 1971 dall’attrice Song Hye Rim, una donna già sposata e con un figlio. Quest’ultima circostanza potrebbe aver contribuito a inficiare, vista la rigida etica coreana in fatto di famiglia, le ambizioni di Jong Nam. Dopo un decennio passato all’estero, da bambino, tra l’Unione sovietica e la Svizzera, tornò in Corea del Nord alla fine degli anni ’80 e fu inserito negli affari del regime, non solo occupando posizioni di partito, ma anche occupandosi della gestione dei traffici non proprio leciti che sarebbero parte della dotazione economica della dinastia. Cominciò così a vivere in giro per il mondo, tra casinò e hotel.
ESPULSIONE Intanto, però, il padre aveva avuto altre mogli e altri figli. Tra queste Ko Yong Hee, dalla quale nacque tra gli altri Kim Jong Un, il fratellastro che l’avebbe sopravanzato nella successione. L’episodio che sostanzialmente fece deragliare le ambizioni di Jong Nam fu il suo bizzarro arresto all’aeroporto di Tokyo-Narita assieme alla sua famiglia, tutti con passaporti dominicani. Si difese sostenendo di voler portare i bambini a Disneyland Tokyo. Fu poi, rapidamente, impacchettato e espulso su un Boeing 747, suscitando proteste nel Sol levante. Dietro questo viaggio, secondo fonti giapponesi, ci sarebbero stati, più che desideri ludici, meno dicibili affari e traffici. Fatto sta che, dopo questo scivolone, su di lui calò una cappa di silenzio. Alla morte del padre nel dicembre 2011, gli successe il fratello minore. Lui dichiarò di non avere ambizioni di potere, ma descrisse il fratellastro come uno non in grado di governare e cercò di accreditarsi come riformista. Il suo radicamento in Corea del Nord, tuttavia, appariva poco profondo. Di certo, la sua assenza – anche dalle cronache – lo rendevano uno sconosciuto, non certo una bandiera nella quale un’eventuale e apparentemente inesistente opposizione potesse riconoscersi. Anche sulla sua morte, nei media di regime, non c’è al momento traccia. Tutti sembrano piuttosto concentrati sull’imminente celebrazione del compleanno del defunto Kim Jong Il, il 16 febbraio. La testa di Jong Nam, apparentemente, è il regalo che Jong Un potrebbe essersi fatto per il genetliaco paterno.