Tillerson, ex boss del petrolio in cerca d’identità nel governo Trump. Molti tweet e poca diplomazia

Tillerson, ex boss del petrolio in cerca d’identità nel governo Trump. Molti tweet e poca diplomazia
23 febbraio 2017

Un segretario di Stato in cerca di identità. Rex Tillerson arriva oggi in Messico con una valigia carica di dubbi. E di problemi: la battaglia retorica ingaggiata dal suo presidente Donald Trump con lo Stato centro-americano, la sua politica sull’immigrazione, l’intenzione dell’inquilino della Casa bianca di rinegoziare, o far saltare del tutto, l’accordo di libero scambio Alena, sono solo alcune delle questioni che il capo della diplomazia di Washington proverà ad appianare incontrando Enrique Pena Nieto. Ma la sua più grande sfida, sottolinea la grande stampa statunitense, sarà probabilmente un’altra: Tillerson è in grado realmente di parlare a nome del suo presidente? Un mese è certamente un periodo troppo breve per valutare l’operato del capo della diplomazia di un grande Paese come l’America, ma nel caso di Tillerson tre settimane sono state sufficienti – secondo Politico – per chiarire che il suo mandato è pieno di ostacoli. E non pochi sono stati i segnali di una mancanza di sintonia di fondo tra il leader del dipartimento di Stato e il suo diretto superiore alla Casa bianca. Trump ha bocciato la scelta di Elliott Abrams come vice di Tillerson ed ha deciso di non consultare l’ex Ceo di ExxonMobil sulla questione israelo-palestinese o sulla Repubblica islamica d’Iran.

QUESTIONE ISRAELO-PALESTINESE Tillerson, inoltre, è stato assente durante gli ultimi incontri di Trump con capi di Stato e di governo. Il dipartimento di Stato è stato rappresentato dal vice ad interim Tom Shannon ai colloqui di Trump con il primo ministro canadese Justin Trudeau, il premier giapponese Shinzo Abe e la leader del governo britannico Theresa May. In viaggio verso Bonn per partecipare alla riunione del G20, il capo della diplomazia di Washington ha disertato inoltre l’incontro di Trump con il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu. E durante la sua tappa in Europa, Tillerson ha dovuto dividere la scena con il vice presidente Mike Pence, il segretario alla Difesa James Mattis e il segretario per la Sicurezza interna John Kelly. Tutti, chi più chi meno, hanno discusso di questioni, argomenti, ambizioni e impegni attinenti alla politica estera statunitense. Se – ricorda Politico – esistono voci non confermate ufficialmente sul fatto che Tillerson abbia avuto un ruolo nel ritorno di Trump alla politica della “Unica Cina”, non ci sono indicazioni del fatto che sia stato coinvolto in discussioni di alto livello riguardo alla Russia, nonostante i suoi noti rapporti con il presidente Vladimir Putin. Viceversa, rilevanti – e fin troppo ingombranti per il segretario di Stato – sono stati i ruoli giocati dal grande stratega e consigliere di Trump, Stephen K. Bannon, e dal genero Jared Kushner. Quest’ultimo, occupandosi prioritariamente dell’annosa questione israelo-palestinese, ha di fatto ereditato un “lavoro” riservato negli anni al segretario di Stato. E infatti, nei tempi più recenti, è stato il predecessore di Tillerson, John Kerry, a prodigarsi (invano, al momento) per far avanzare il processo di pace.

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TWEET E DIPLOMAZIA “Tillerson non è stato messo da parte volutamente; ma è coinvolto in un’amministrazione con troppi centri di potere in competizione e un presidente che non ha voluto o potuto decidere chi schierare in un ruolo guida per l’attuazione della sua politica estera”, ha commentato al Washington Post Aaron David Miller, un ex diplomatico, consigliere di presidenti repubblicani e democratici per il Medio Oriente. “Il problema è che lanciare migliaia di messaggi e tweet non è il modo migliore di agire in politica estera”. Insomma, la latitanza di Tillerson fa il paio con lo stile operativo di Trump che, rompendo ogni regola e convenzione, rappresenterebbe un serio ostacolo anche all’iniziativa di un diplomatico esperto. Figuriamoci, aggiunge Politico, se il diplomatico in questione è “un neofita di Washington”, una seconda scelta. Tanto basta per arrivare a rapide dimissioni? No, o comunque non ancora. Tillerson non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo incarico, sottolinea la stampa americana, ricordando che solo due segretari di Stato hanno deciso di farlo: William Jennings Bryan e Cyrus Vance. Cosa può fare, dunque Tillerson per recuperare crebilità all’interno e all’esterno dell’amministrazione Trump? Tillerson – commenta Politico – ha solo bisogno di decidere se e come può essere un segretario di Stato credibile. “I castori costruiscono dighe; gli adolescenti scrivono testi; i segretari di Stato seri identificano i problemi di difficile soluzione e cercano di risolverli avendo piena coscienza di ciò che è possibile” fare. L’attuale segretario di Stato “ha avuto una reputazione da duro, assertivo e decisionista a ExxonMobil. Ha bisogno di portare queste qualità al dipartimento di Stato per proteggere i propri titoli azionari istituzionali, il suo rapporto con Trump e la ristretta cerchia di consiglieri del presidente”.

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