E’ pronta, dopo una riunione degli “sherpa” ieri sera a Bruxelles, l’ultima versione della bozza della Dichiarazione di Roma, che i capi di Stato e di governo dei Ventisette (l’Ue meno il Regno Unito della Brexit) dovrebbero sottoscrivere solennemente in Campidoglio sabato 25 marzo, in occasione del 60esimo anniversario del Trattato della Comunità economica europea. Resta ancora, tuttavia, la riserva della Grecia, che vorrebbe nella Dichiarazione un impegno più forte a tutela dei diritti sociali e del lavoro, in questo momento messi sotto forte pressione dalle richieste di “riforme” dei creditori, e in particolare dal Fmi, nell’ambito del programma di salvataggio finanziario di Atene. A Bruxelles nessuno, comunque, pensa che il premier greco Alexis Tsipras arrivi davvero a negare all’ultimo momento la sua firma alla Dichiarazione, che ha come obiettivo principale proprio quello di mostrare l’unità, nonostante tutto, dei Ventisette dopo l’uscita traumatica di Londra (“l’Europa è il nostro futuro comune”, è la frase con cui si conclude la Dichiarazione). L’ultima bozza contiene solo tre piccole modifiche formali rispetto al testo del 20 marzo, che aveva inserito molti cambiamenti per rispondere alla forte avversione della Polonia e degli altri paesi dell’Est al concetto di “Europa a più velocità”; che ormai non appare più in quanto tale, come nuova via da seguire, ma è stato ridotto a un richiamo alla formula delle “cooperazioni rafforzate”, già presente nel Trattato Ue e rispondente a realtà già operanti nella pratica.
Alla fine, su questo punto il testo è stato modificato così: “Agiremo insieme, muovendoci nella stessa direzione, con un ritmo (o ‘passo’, ndr) e un’intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato, in linea con i Trattati Ue e lasciando la porta aperta per quelli che vorranno aggiungersi più tardi. La nostra Unione – si sottolinea per fugare i timori dei paesi dell’Est – è indivisa e indivisibile”. Sempre nella versione del 20 marzo, confermata ieri sera, è stata aggiunta nel capitolo sull’Europa sociale – anche per rispondere alle preoccupazioni greche – una parola fondamentale che mancava prima: “disoccupazione”. L’Unione “combatte la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà”, si legge nel testo. C’è, inoltre, il richiamo al ruolo dell’Unione nel “creare crescita e lavoro”, e nel promuovere “il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza” fra le economie degli Stati membri, “mantenendo l’integrità del mercato interno e tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo chiave dei partner sociali”. E c’è un riferimento ai giovani, che devono “ricevere la migliore educazione e formazione” e poter “studiare e trovare lavoro in tutto il Continente”. La dichiarazione cita, “en passant” anche energia, ambiente e clima, propugnando “un’Unione in cui l’energia è sicura e a buon mercato e l’ambiente pulito e sicuro”, e che “promuove una politica climatica positiva”. E non manca un riferimento all’Unione del mercato digitale (“un Mercato Unico forte, connesso” che si sviluppa “aderendo alle trasformazioni tecnologiche”).
La Commissione è riuscita a inserire anche il mantra del suo presidente, Jean-Claude Juncker, che continua a propugnare una Unione “grande sulle grandi questioni e piccola su quelle piccole”, secondo una interpretazione del principio di sussidiarietà che potrebbe portare alla rinazionalizzazione di alcune politiche comuni (come voleva il Regno Unito e come vorrebbero i paesi dell’Est, e anche certe lobby industriali, in particolare per quanto riguarda l’ambiente). Nel capitolo sulla politica estera, oltre all’impegno a rafforzare la sicurezza e difesa comune e la stabilità del vicinato, “in cooperazione e complementarietà con la Nato” c’è un richiamo al ruolo mondiale dell’Ue, “impegnata nelle Nazioni Unite” e nella difesa di “un sistema multilaterale basato sulle regole” che promuova un “libero commercio” che sia anche “giusto”. Sull’immigrazione, infine, la Commissione, la Germania e l’Italia si sono opposte all’inserimento dell’obiettivo di “arginare il flusso dei migranti” che avrebbero voluto i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia). L’obiettivo sarà, invece, “una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, che rispetti le norme internazionali”, e quindi anche gli obblighi di accoglienza dei rifugiati. Resta, comunque, l’impegno per “frontiere esterne rese sicure”, in un’Unione in cui “tutti i cittadini si sentono sicuri e possono muoversi liberamente”.