La Fed verso la riduzione del suo bilancio da 4.500 miliardi Usd. Nessun effetto Trump

La Fed verso la riduzione del suo bilancio da 4.500 miliardi Usd. Nessun effetto Trump
6 aprile 2017

La Federal Reserve si prepara a fare un nuovo passo significativo verso la fine di una politica monetaria estremamente accomodante, conseguenza della peggiore crisi finanziaria dalla Grande Depressione degli anni ’30 del secolo scorso. Dopo avere iniziato nel dicembre 2015 ad alzare i tassi, seppur di poco, rispetto ai minimi storici vicini allo zero, la banca centrale americana entro fine anno potrebbe cominciare a ridurre il suo bilancio enorme arrivato a valere 4.500 miliardi di dollari e gonfiato negli anni della crisi attraverso un programma di acquisto di Treasury e bond ipotecari in tre round: il primo risale al 2008, il secondo al 2010 e il terzo al settembre 2012 (quest’ultimo portato a termine nell’ottobre 2014). È quanto emerso dai verbali della riunione della Fed del 14 e 15 marzo, quando fu annunciata la terza stretta monetaria dal 2016 dopo quella di fine 2015 e fine 2016. Nel documento si legge: “Presupponendo che l’economia continui ad andare come previsto, molti governatori anticipano che i rialzi graduali dei tassi continueranno e credono che più avanti nell’anno un cambiamento della politica di reinvestimento sarà probabilmente appropriato. Molti governatori hanno sottolineato come la riduzione della dimensione del bilancio debba essere condotta in modo prevedibile e passivo”.

I dettagli su come gestire questa normalizzazione mancano ancora; la Fed ne discuterà certamente nelle prossime riunioni. Per il momento sembra prevalere l’approccio in base al quale l’istituto guidato da Janet Yellen smetterà a poco a poco di reinvestire quanto generato dai bond in portafoglio invece che optare per uno stop tutto di un colpo. La prima opzione, si legge sempre nei verbali, “è vista come quella che riduce i rischi di innescare una volatilità sui mercati finanziari o di inviare segnali fuorvianti sulle intenzioni di politica monetaria della Fed mentre riduce solo modestamente” il suo bilancio. Tuttavia, “un approccio che pone fine ai reinvestimenti tutto di un colpo è visto generalmente come più facile da comunicare”. Il mercato si trova così a interrogarsi non solo sulla tempistica del prossimo rialzo dei tassi (dopo quello di marzo, la Fed ne stima altri due per il 2017) ma anche sulle modalità con cui la banca centrale Usa gestirà la riduzione del suo bilancio monstre. Secondo BlackRock un aggiustamento non ci sarà prima del quarto trimestre del 2017 e magari nel primo del 2018. Per Marketfield Asset Management, la Fed dovrà dare almeno tre mesi di preavviso prima di agire, cosa che potrebbe succedere a settembre. Quali che siano le modalità con cui l’istituto centrale procederà, una continua normalizzazione della sua politica monetaria sta a indicare che l’economia Usa sarà in grado di camminare sulle proprie gambe.

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Per il momento le potenziali minacce per gli Stati Uniti e l’economia globale “sono diminuite negli ultimi mesi”, anche quelle “associate alla situazione economica in Cina ed Europa”. Nei documenti, la Fed ha voluto sottolineare la cautela “in vista delle prossime elezioni in Paesi europei” che “pongono rischi sia di breve sia di lungo termine” (subito dopo la riunione di marzo della Fed ci furono quelle in Olanda; ci sono poi quelli in Francia e Germania). Comunque sia “in gran parte del mondo – inclusi Europa, Giappone e gran parte delle economie emergenti in Asia – l’attività economica ha continuato a crescere a passo moderato”. Chissà che ciò non sia riflesso anche nelle stime economiche che il Fondo monetario internazionale diffonderà dopo Pasqua nell’ambito dei consueti incontri primaverili. Quanto all’effetto Trump, la Fed non si aspetta alcun segno tangibili fino al 2018. Detto questo, la banca centrale Usa “continua a vedere la prospettiva di politiche fiscali più espansive come un rischio al rialzo per le proprie stime economiche”. Come a dire che se il presidente americano riuscirà a realizzare il taglio alle tasse e le spese infrastrutturali promesse, il motore degli Usa si scalderà ulteriormente.

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