L’avversario sono i Cinque Stelle. Matteo Renzi parla gia’ da segretario e salendo sul palco dell’Ergife, mette in chiaro che, chi perde al congresso, “non dovra’ bombardare il quartier generale nei prossimi quattro anni” quando si giochera’ un eterno derby fra democrazia e dinastia, scienza e paura, lavoro e assistenzialismo. Tutti punti che segnano una distanza netta tra il Partito democratico sognato da Renzi e il movimento di Grillo e Casaleggio. Michele Emiliano appare solo in video, costretto all’ospedale dall’infortunio al tendine d’Achille, Andrea Orlando parla per primo e spara una raffica di critiche al Pd renziano degli ultimi tre anni e alla fine la convenzione Pd sembra già la giornata della nuova incoronazione di Renzi. Ovviamente è presto, bisogna vedere se le primarie del 30 aprile confermeranno il voto dei circoli del partito, e oltre al risultato sarà fondamentale il dato dell’affluenza. Ma Renzi è l’unico dei tre candidati che dedica quasi tutto il suo intervento all’esterno, rivolto al “futuro” come dice lui, mettendo al centro del mirino soprattutto un bersaglio: il Movimento 5 stelle. Il tema del rinvio delle primarie per l’infortunio di Emiliano dura il tempo di un caffè, Orlando fa una apertura pressato dai giornalisti all’arrivo, ma non avanza una richiesta formale quando interviene dal palco. Poi, è lo stesso presidente della Puglia a chiudere praticamente il discorso, dopo che Lorenzo Guerini aveva comunque fatto capire che aria tirava (“La macchina delle primarie è in moto”). Emiliano manda una nota, ringrazia Orlando per l’attenzione ma precisa di non voler “condizionare i tempi delle primarie”.
Orlando, da sfidante, incalza Renzi, seppure senza mai alzare il tono della voce: il Pd in questi anni si è “isolato”, il partito non può diventare un “elemento di instabilità del sistema” attaccando il governo Gentiloni, è sbagliato “inseguire la destra” perché “l’originale vince sulla copia”. Il ministro della Giustizia prova a mettere pepe, polemizza per il rapporto privilegiato di Renzi con Marchionne: “L’altro giorno sono andato ai cancelli di Mirafiori. E’ stato bello, ma non mi sarei stupito se mi avessero cacciato a calci…”. Poi tocca al video-intervento di Emiliano, che parla dall’ospedale con alle spalle l’asta di sostegno per le flebo: “Solo la mia mozione è una garanzia contro le larghe intese”, avverte. Ribadisce la sua linea di apertura ai grillini (“Dobbiamo chiudere con questo rapporto così difficile con l’elettorato dei 5 stelle, la stragrande maggioranza di quegli elettori sono nostri elettori”) e chiede un Pd che stia “vicino a chi non conta nulla”. Ma quando Renzi prende la parola la sensazione è quella di una campagna elettorale già avviata.
L’ex premier attacca a testa bassa M5s, più volte il Movimento di Beppe Grillo viene citato ed è in particolare Davide Casaleggio ad essere preso di mira: “Loro scelgono il leader attraverso il meccanismo della dinastia, noi attraverso la democrazia. Il leader Pd polemizza coni il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia M5s, attacca Grillo che “ha le idee chiare sull’Europa, ma ne ha due: un giorno è a favore, un giorno è contro…”. Si scalda, poi, quando parla delle inchieste, perché “noi non temiamo la giustizia e non prendiamo lezioni dal partito di un pregiudicato (Grillo, ndr)”. Anche sull’Europa, Renzi sembra parlare agli elettori: “Non credo che accadrà, ma se accadesse che qualcuno in Europa immaginasse di mettere il fiscal compact dentro i trattati istitutivi dell’Ue, sappia che il Pd proporrà di mettere il veto. Noi diciamo Europa sì, ma non così”. Alla dialettica interna l’ex premier dedica pochi passaggi.
Il primo, per dire che non si deve ripetere ciò che è successo negli anni passati: “Il Pd è la casa di tutti, ma in una casa si rispettano le regole. Non ne possiamo più di chi ha sempre da ridire, non si passano i prossimi 4 anni a bombardare il quartier generale”. Poi replica a Orlando sugli operai che non lo hanno cacciato: “Sai perché non ti hanno preso a calci Andrea? Forse perché abbiamo contribuito a tenerle aperte quelle fabbriche, anche grazie a Marchionne. Noi siamo il partito del lavoro”. Renzi rassicura Paolo Gentiloni, che è presente in sala e con il quale ha scambiato qualche battuta dietro al palco prima dell’inizio: “Al governo di Paolo Gentiloni va la mia gratitudine, senza alcuna incertezza e alcun tentennamento”. Ma sulla legge elettorale non manda i segnali chiesti da Orlando e attesi anche da Sergio Mattarella: l’incidente in commissione Affari costituzionali è “grave”, anche se “non c’entra il governo”, dimostra che “sulle questioni istituzionali la maggioranza è la stessa del no al referendum”. Dunque, “bisogna prendere atto che adesso tocca a loro fare una proposta e non soltanto dire di no”. La convenzione finisce così, con l’ufficializzazione della sfida a 3 alle primarie del 30 aprile e con Renzi che dà l’impressione di guardare già molto oltre quella data.