Nella politica mediatica degli ultimi decenni la capacità di suscitare emozioni (più che riflessioni) è diventata centrale. Non ci sono più le ideologie e neanche le appartenenze (se non in pochi casi) e dunque i partiti sono costretti a gettarsi alla conquista di un consenso trasversale in ogni competizione elettorale. Per questo la comunicazione si è progressivamente (e naturalmente) impossessata della politica, soprattutto nei Paesi in cui i politici sono meno preparati (come da noi). Ma le emozioni superano i confini nazionali. Ieri il nuovo presidente francese, Emmanuel Macron, (il più giovane di sempre con i suoi 39 anni) ha parlato, più volte, di “audacia” (quella di puntare sull’Europa, di vincere la paura, anche di pensare a un establishment diverso): “Avete scelto di essere audaci” ha ripetuto ai francesi in piazza. La stessa “audacia” che fu del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Lui la declinò in maniera differente. Mostrava e chiedeva “l’audacia della speranza”. Eppure l’audacia arriva da lontano. “Memento audere semper” (Ricorda di osare sempre) è uno detti latini più fortunati, inventato da Gabriele D’Annunzio che aveva interpretato in questo modo l’acronimo Mas, cioè il motoscafo armato silurante. Ci si potrebbe stupire che l’audacia richiesta agli elettori e ai politici sia collegabile a un mezzo per fare la guerra. In realtà gran parte della politica usa ogni giorno parole rubate al lessico militaresco: ultimatum, schieramenti, battaglia, stato maggiore, fare quadrato, tregua e tanti altri. Ecco perché in politica, ma non solo, ci vuole audacia.