Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali oggi ha bacchettato il sistema dell’istruzione italiano e le competenze raggiunte dai nostri studenti: “Sia i livelli di istruzione formale e sia le competenze di lettura e comprensione, logiche e analitiche, sono in Italia distanti da quelli degli altri paesi avanzati, anche tra i giovani”, ha detto. “Vi sono carenze diffuse nel sistema scolastico e di istruzione superiore e – ha sottolineato Visco – restano tra i più bassi nel confronto internazionale i finanziamenti pubblici e privati alle ricerca e alla formazione terziaria”. Il “Rapporto sullo stato sociale 2017”, curato dal Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza di Roma e presentato nelle scorse settimane, aveva già lanciato l’allarme sulla “una situazione preoccupante delle capacità del nostro sistema d`istruzione e della funzione che svolge per la crescita economica” che “dipende sia dal basso ammontare di risorse in esso impiegate sia dalla scarsa necessità di formazione richiesta dal nostro sistema produttivo”. Una circostanza che “trova particolare riscontro nella condizione dei giovani che incontrano grandi difficoltà a trovare un`occupazione coerente con gli studi svolti”.
Secondo il dossier “la nostra spesa pubblica per istruzione è tra le più basse in Europa e sta calando, come peraltro avviene anche in altri paesi dell`Unione. Nel 2014, è scesa al 4,1% del PIL rispetto 4,4% del 2010, mentre la media europea è del 5,3%. La riduzione si è verificata anche rispetto all`intera spesa pubblica. In Italia si spendono 9.238 euro per studente, cifra superiore solo a quelle di Spagna e Portogallo; in Francia se ne spendono circa 11.000, in Germania 11.500; in Svezia, Regno Unito e Austria le cifre variano tra i 13.600 ai 14.400. I docenti italiani sono tra i meno pagati, circa la metà che in Germania, e i più anziani, a causa del blocco del turnover”. Il Rapporto della Facoltà di Economia della Sapienza di Roma ricordava anche come “recenti indagini PISA confermano che i livelli di competenza mediamente forniti dalle nostre scuole non sono comparativamente buoni, ma le carenze si concentrano in quelle del Mezzogiorno e, particolarmente, nelle professionali; infatti, nei licei del Nord si registrano valori superiori a quelli medi europei. Un risultato allarmante è invece il grado di alfabetizzazione dei nostri adulti che per il 2012, indica nel 70% la quota di coloro che non raggiungono il livello considerato ‘minimo indispensabile’ per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali”. “Ma il punto ancora più preoccupante è che, in base alle indagini comparative specificamente svolte dall`Ocse, le già scarse competenze dei nostri adulti risultano tra quelle meno frequentemente utilizzate. Ciò dipende dal basso grado di specializzazione richiesto dalle nostre imprese, per lo più impegnate in settori maturi, dove la competitività viene ricercata essenzialmente nella riduzione dei costi salariali.
Dal 2010 al 2013 è cresciuto anche dal 22% al 26% l`incidenza dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono né occupati né inseriti in programmi d`istruzione (NEET); nel 2014 si è avuto un leggero calo al 25,3%, mentre la media europea è al 15%”. Anche “il tasso di abbandono degli studi tra i 18 e i 24 anni è calato dal 19,6% del 2008 al 14,7% del 2015 ma è superiore alla media europea e all`obiettivo comunitario del 10%”. “L`unico risultato positivo del nostro sistema d`istruzione – precisava il dossier – è fornito dalla scuola dell`infanzia o pre-primaria la cui partecipazione raggiunge il 96,5%, a fronte di un obiettivo comunitario del 95%”. “L`insieme di questi dati non rende sorprendente che la popolazione italiana tra i 30 e i 34 anni abbia un livello d`istruzione tra i più bassi dell`Unione Europea: pur essendo aumentato di 5 punti rispetto a cinque anni prima, solo il 25% ha un titolo universitario; è il valore più basso nell`Unione, molto lontano dalla media del 38,7% e dalla soglia del 40% superata dalla maggioranza degli altri paesi; nelle nostre regioni meridionali si raggiungono valori inferiori al 20%. Tuttavia – concludeva il rapporto – anche nel nostro paese il possesso della laurea rende più facile, o meno diicile, trovare un posto di lavoro; a distanza di tre anni dal conseguimento del titolo, tra i laureati, gli occupati sono il 76% mentre tra i diplomati sono il 65%. Nella media dei paesi europei le due quote sono, rispettivamente, 87% e 77%”.