Dylan nel discorso al Nobel racconta il suo pantheon poetico

Dylan nel discorso al Nobel racconta il suo pantheon poetico
6 giugno 2017

Buddy Hollie, Erich Maria Remarque, Miguel de Cervantes, Jonathan Swift, Walter Scott, Herman Melville. Sono solo queste alcune delle sue fonti d’ispirazione, autori che gli hanno suscitato commozione in Bob Dylan, che compongono insomma il suo pantheon poetico. Il cantautore, premio Nobel per la letteratura 2017, li ha elencati nel discorso consegnato all’Accademia di Svezia, grazie al quale potrà intascare oltre 800mila euro di compenso. Ha fatto attendere diversi mesi, Dylan. Ma alla fine ha prodotto uno scritto nel quale ha elencato e spiegato una serie di elementi ispiratori che fanno parte del suo mondo letterario. Il menestrello di Duluth è partito da Buddy Hollie. “Se dovessi risalire alla genesi di tutto, immagino che dovrei cominciare da Buddy Hollie. Buddy è morto quando avevo circa 18 anni e lui 22. Quando l’ho sentito per la prima volta, mi sono sentito vicino a lui. Eravamo come famigliari, come se lui fosse il mio fratello maggiore. Ho anche creduto di assomigliarli. Buddy suonava la musica che amavo, la musica con la quale sono cresciuto: il country dei western, il rock.’n’roll, il rithym and blues”, ha raccontato Dylan.

“Avevo principi e sensibilità e una visione del mondo. Li avevo da un certo momento, appresi alla scuola elementare. Don Chisciotte, Ivanhoe, Robinson Crusoe, i Viaggi di Gulliver, il Racconto delle due città e tutto il resto: letture classiche della scuola elementare, che formano il vostro modo di vedere il mondo , che vi forniscono una comprensione della natura umana e un metro per misurare le cose. Mi sono servito di tutto questo quando ho cominciato a scrivere testi di canzoni”, ha rdetto ancora Dylan. “Moby Dick – ha proseguito – è un testo affascinante, un libro pieno di scene di dramma intenso e di dialoghi drammatici (…). Tutto è mescolato. Tutti i miti: la Bibbia giudaico-cristiana, le leggende britanniche, San Giorgio, Perseo, Ercole: tutti cacciatori della balena. Noi non vediamo che la superficie delle cose. Noi possiamo interpretare ciò che è al di sotto”. Invece per quanto riguarda “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Remarque, Dylan parla di una “storia d’orrore, una storia che vi fa perdere l’infanzia, la vede in un mondo razionale, l’empatia per l’altro. Siete presi in un incubo, aspirati in un tourbillon di morte e dolore(…). Ho lasciato questo libro, l’ho chiuso. Non volevo più leggere romanzi sulla guerra e non ne ho mai più letto un altro”.

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