Donald Trump contro James Comey con l’America che farà da spettatrice. Viene visto così il tanto atteso scontro a distanza che andrà in scena domani tra il presidente americano e l’ex direttore dell’Fbi da lui silurato e chiamato a testimoniare davanti ai membri della commissione Intelligence del Senato; si tratta dell’organismo che insieme all’equivalente della Camera sta indagando sulla possibile interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali Usa dello scorso novembre e sulla possibile collusione tra la campagna Trump e funzionari russi. L’appuntamento, uno dei tre del cosiddetto “Super Thursday” (gli altri due sono la riunione della Bce e le elezioni nel Regno Unito), è stato paragonato al Super Bowl della politica: forse mai come prima d’ora tanta gente si piazzerà davanti al televisore o al pc per seguire in diretta l’audizione pubblica, la prima da quando Comey fu licenziato a sorpresa il 9 maggio scorso. Un po’ come nella finale del campionato di football americano, le principali emittenti interromperanno la loro programmazione tradizionale per trasmettere l’evento. E alcuni bar apriranno in anticipo per offrire drink ispirati al presidente e al Russiagate. La Casa Bianca si sta preparando al peggiore degli scenari, quello in cui Trump ignorerà i suggerimenti del suo staff inondando la rete di tweet per controbattere alle dichiarazioni di un Comey che secondo lui è un “esibizionista”. Nella mattina della vigilia, il Commander in chief era tornato ad attaccare i ‘mainstream media’: “I MSM falsi stavo lavorando sodo per cercare di fare in modo che non usi i social media. Odiano il fatto che possa diffondere un messaggio onesto e senza filtro”.
Peccato che i suoi cinguettii – per quanto vadano ufficialmente considerati come “dichiarazioni ufficiali” – possano essere frutto dell’ira e della rabbia che Trump pare avere in corpo. Per questo i legali del civico 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington vorrebbero che Trump, almeno per una volta, non ricorresse al sito di microblogging. Senza la ‘war room’ che era stata ipotizzata per gestire la comunicazione e la strategia legale legata al caso russo, lo staff del presidente lascia di fatto al capo di gabinetto Reince Priebus la responsabilità di gestire una crisi potenziale. Anche il segretario di Giustizia Jeff Sessions starà a guardare mentre ci si domanda se sia davvero pronto a dimettersi come riferiscono i media americani: pare abbia detto al presidente che ha bisogno di libertà per fare il suo lavoro; ma Trump non ha ancora digerito la decisione di Sessions di astenersi dal Russiagate che nel frattempo sta lievitando. La strategia, almeno quella dell’imprevedibile Trump, sembra quella dell’attacco tipico di una campagna elettorale. Il leader Usa pare intenzionato a ledere la credibilità dell’ex direttore dell’Fbi, da lui criticato e lodato durante la corsa verso la Casa Bianca a seconda di come tirava il vento. Intende farlo portando a galla momenti controversi della sua carriera, incluso quello forse più importante: l’annuncio, a pochi giorni dalle elezioni dello scorso 8 novembre, del ritrovamento di email che avrebbero potuto essere rilevanti nell’inchiesta – chiusa l’estate precedente senza alcuna incriminazione – sulla gestione da parte di Hillary Clinton di un account privato di posta elettronica quando era segretario di Stato. Il caso fu richiuso in pochi giorni ma il danno apparente alla campagna di Clinton, la sfidante di Trump, era ormai fatto. Il presidente oggi, forse per sottolineare che ha il controllo della situazione dopo un mese nel quale la poltrona di Comey è rimasta vuota, ha nominato alla guida dell’Fbi Christopher Wray, ex dirigente del ministero della Giustizia dell’epoca di George W. Bush e legale del governatore repubblicano del New Jersey Chris Christie. Intanto il Republican National Committee, l’organo che governa il partito repubblicano, ha reclutato una serie di personalità per mandarle davanti alle telecamere delle principali tv per difendere il presidente. E gli uomini che mettono a punto l’agenda di Trump stanno cercando di riempire la sua giornata di domani, come per tenerlo impegnato e dunque lontano da Twitter.
“Giovedì il presidente avrà una giornata molto piena, come sempre. Credo che la sua attenzione sarà sull’agenda e sulle priorità da attuare e per cui è stato eletto”, aveva detto ieri il portavoce Sean Spicer. Il problema è che, ad ora, la mattina sembra libera. Questo significa che potrebbe piazzarsi davanti allo schermo piatto da 60 pollici che ha fatto installare in una stanza accanto allo Studio Ovale. A quel punto, la tentazione di twittare messaggi al vetriolo sarebbe alta. Se Comey ha anticipato il contenuto della sua testimonianza al suo predecessore Robert Mueller (a cui il dipartimento di Giustizia ha affidato il Russiagate) per evitare di dire cose che potrebbero compromettere l’inchiesta, Trump ha ospitato a cena ieri alcuni alleati che siedono nella commissione Intelligence del Senato. La cena era stata pianificata prima che venisse fissata la data della testimonianza di Comey ma di certo l’occasione è stata preziosa per definire una strategia comune contro la “caccia alle streghe” (così il presidente chiama il Russiagate). Il punto è che ci saranno altri senatori pronti a incalzare Comey con domande scomode. Lui pare voglia limitarsi a descrivere i fatti relativi alle sue interazioni con Trump lasciando che siano altri a tirare le conclusioni. E se non arriverà a dire che il leader Usa ha cercato di ostacolare il corso della giustizia (con la richiesta di chiudere l’indagine sul suo primo consigliere alla sicurezza nazionale), Comey contesterà quanto detto da Trump quando lo ha licenziato: che l’ex direttore dell’Fbi gli disse in tre occasioni che non era sotto inchiesta. L’inquilino della Casa Bianca ieri ha augurato “buona fortuna” a Comey ma di fortuna ne ha bisogno anche lui se dal Super Bowl della politica la credibilità sua – e non solo quella dell’ex capo della polizia federale – verrà messa (nuovamente) in dubbio.