Bufera su Google, documento difende discriminazioni genere

Bufera su Google, documento difende discriminazioni genere
8 agosto 2017

Google si è trovata nell’occhio del ciclone dopo che è circolato sui media un documento scritto da un dipendente secondo cui c’è “una causa biologica” per l’assenza di donne nei posti di comando dell’industria tech. La tirata, che i media Usa non esitano a definire sessista, riaccende il dibattito, in realtà mai spento, sul sessismo e le discriminazioni di genere a Silicon Valley. “Sto semplicemente dicendo che la distribuzione di preferenze e capacità tra uomini e donna differisce in parte per cause biologiche e che queste differenze possono spiegare perché non c’è una pari rappresentatività di donne nel settore tech e nelle posizioni di leadership”, si legge nel documento di 3.000 parole stilato da un anonimo programmatore maschio. Secondo l’autore le attitudini naturali degli uomini li mettono in grado di diventare programmatori migliori. Le donne, scrive, hanno una maggiore “apertura indirizzata verso i sentimenti e l’estetica piuttosto che vero le idee”, quindi “preferiscono lavori in ambito sociale o artistico”.

In risposta al documento, Danielle Brown, nuovo vice presidente di Google per la diversità, ha scritto ai dipendenti in una email che “non si tratta di un punto di vista che la società appoggia, promuove o incoraggia”. “Cambiare una cultura è difficile, spesso scomodo”. Tuttavia, ha aggiunto Brown “per costruire di un ambiente aperto, inclusivo va promossa una cultura in cui anche chi ha punti di vista alternativi, anche politici, si senta libero di esprimere la sua opinione”. Sempre più donne che lavorano a Silicon Valley hanno cominciato a lamentare apertamente le discriminazioni di genere nell’industria tech americana. Il controverso numero uno di Uber Travis Kalanick si è dimesso nei mesi scorsi sotto la pressione degli investitori che chiedevano uno tacco con il clima aziendale tossico della società di trasporti in auto. L’uscita di scena di Kalanick ha segnato il culmine di un periodo turbolento per Uber, sotto accusa per il clima di estrema competizione, molestie e discriminazione sul posto di lavoro.

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