E quattro. Tante sono le figure di alto profilo che nell’ultimo mese hanno lasciato la Casa Bianca. E si arriva a 13 se si prende in considerazione la presidenza intera di Donald Trump. Dopo il portavoce Sean Spicer, il capo di gabinetto Reince Priebus e il direttore alla comunicazione Anthony Scaramucci, l’ultimo ad avere finito in modo brusco la sua carriera nell’amministrazione Trump è Steve Bannon: oggi è l’ultimo giorno al civico 1600 di Pennsylvania Avenue dello stratega di ultra destra a cui era associata la deriva economica nazionalista e la linea dura in tema di immigrazione e sicurezza nazionale del 45esimo Commander in chief. Curiosamente, la sua uscita si verifica esattamente un anno dopo il suo arrivo alla direzione della campagna elettorale del miliardario di New York. E, altra curiosità, si verifica circa otto mesi dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, una durata prevista dallo stesso Bannon in interviste passate. L’addio di Bannon – secondo la Casa Bianca deciso “di comune accordo” con il neo chief of staff, l’ex generale John Kelly – era già nell’aria almeno da Ferragosto. In quel giorno Trump tenne una conferenza stampa in cui finì per paragonare i suprematisti bianchi che sabato 12 agosto avevano protestato a Charlottesville (Virginia) contro la rimozione di una statua di un leader confederato ai manifestanti scesi in strada contro il razzismo. Rispondendo a una domanda, il presidente disse: “Mi piace Bannon, è un mio amico ma è arrivato tardi” nella discesa in campo del miliardario di New York. Come a dire che – contrariamente ai fatti – la vittoria alle presidenziali non fosse merito suo essendo arrivato pochi mesi prima dell’Election Day.
Unitosi a Trump quando era in netto svantaggio nei sondaggi rispetto a Hillary Clinton, è stato tuttavia Bannon a mettere fine alle conferenze stampa dell’allora candidato repubblicano e a spingere per comizi carichi di messaggi populisti che gli hanno se non garantito almeno facilitato la vittoria. “Mi piace. E’ un buon uomo. Non è un razzista”, aveva garantito Trump aggiungendo che Bannon era il target di una copertura mediatica “ingiusta”. Eppure il leader Usa disse anche: “Vedremo cosa succederà con Bannon”. Tre giorni dopo quelle dichiarazioni, colui che si autodefinì il “Dart Fener” della Casa Bianca è fuori. E l’America cerca di capire la dinamica che ha portato al suo addio. E’ stato “fired”, come piaceva dire a Trump nel suo reality show “The Apprentice”? O ha dato le dimissioni il 7 agosto scorso, come Bannon ha spiegato alla radio conservatrice Circa e secondo il quale la sua uscita è stata poi posticipata dal caos legato ai commenti di Trump che sono piaciuti solo ai suprematisti bianchi? Intanto il direttore di Breitbart, il sito di ultra destra che Bannon aveva guidato per quattro anni prima di passare alla campagna Trump, ha scritto un tweet con una sola parola “war”. E’ stata dunque dichiarata guerra contro Trump nello stesso giorno in cui il repubblicano Mitt Romney ha chiesto al presidente di chiedere scusa alla nazione per quanto detto su Charlottesville mentre il democratico Al Gore gli ha consigliato di dare le dimissioni. A cantare vittoria è il consigliere economico Gary Cohn, l’ex Goldman Sachs parte di quell’ala tradizionale della Casa Bianca contro cui Bannon si era scagliato in più occasioni. Ora resta da vedere che ruolo Bannon giocherà fuori dalla Casa Bianca. Visto lo schieramento di Breitbart, si preannuncia una possibile levata di scudi da parte di media conservatori contro non solo il presidente ma anche il suo staff. Raffigurato dal magazine Time come “Il Grande Manipolatore”, Bannon potrebbe essere capace di influenzare Trump evitando che si sposti troppo al centro. L’America conservatrice che già si lamenta – senza di lui c’è una “Casa Bianca democratica” – ne sarebbe grata.