Thailandia, la fuga di Yingluk verso Dubai. Nuovo episodio di una saga

25 agosto 2017

L’infinita crisi politica in Thailandia è destinata a continuare, dopo che oggi il conflitto tra il clan Shinawatra e la giunta militare al potere a Bangkok ha segnato un’altra tappa: l’ex premier Yingluk Shinawatra ha mancato la sua apparizione in Corte suprema per il verdetto nel processo che la riguarda e, secondo fonti a lei vicine riportate la Bbc, è fuggita all’estero. Forse per raggiungere il potente fratello, Thaksin. Tutto ciò che riguarda questa lunga vicenda è seguito con particolare sovreccitazione nel paese del Sudest asiatico. Migliaia di sostenitori di Yongluk l’hanno attesa davanti alla corte stamani, ma lei non s’è fatta vedere. Un esponente del suo partito ha detto che “probabilmente è a Singapore”. La sua destinazione finale potrebbe essere al fianco del fratello, che vive tra Dubai, Hong Kong e Singapore, muovendosi con un passaporto del Montenegro dopo che quello tailandese gli è stato revocato. Gli avvocati di quella che è stata la prima premier donna della storia tailandese hanno giustificato la sua assenza con motivi di salute. Una versione che non ha avuto molto credito presso il tribunale: il giudice ha immediatamente spiccato un mandato di cattura, spostando a settembre la sentenza nel processo per negligenza. Il capo della giunta militare Prayut Chan-o-cha, dal canto suo, ha dato ordine di inasprire i controlli di frontiera per impedire l’espatrio della cinquantenne. La saga dei Shinawatra ha spaccato in due la Thailandia. Da un lato c’è la ricchissima famiglia, che gode del sostegno politico delle aree povere rurali; dall’altro c’è la giunta militare a l’élite monarchica, che mantiene il potere rigidamente. Per capire la storia e il ruolo di Yingluk, bisogna risalire al potere del fratello Thaksin. Arrivato al potere nel 2001, il ricco mogul dei media (a quei tempi soprannominato il Berlusconi asiatico) mise in campo una politica populista in economia e autoritaria sulla sicurezza.

Un personaggio che divideva e che, già prima dell’elezione, era stato sull’orlo dell’arresto. Fu a settembre del 2006 che Thaksin fu deposto da un colpo di stato e lì cominciò il suo auto-esilio, ma non la fine del suo ruolo politico. Il testimone, infatti, fu preso dalla sorella Yingluk, una donna affascinante e determinata. La sua figura emerse negli anni di conflitti e proteste seguite al colpo di stato. Le proteste delle “magliette rosse”, filo Shinawatra, portarono alla repressione da parte dell’esercito con decine di morti. Yingluk in quel periodo organizzò il suo partito, Pheu Thai, e lanciò la scalata che la portò nel 2011 al potere. Alla fine del 2013, mentre il suo governo tentava di approvare un colpo di spugna che avrebbe consentito a Thaksin di tornare senza pericoli in Thailandia, ripartì un’altra fase feroce di disordini e nel maggio 2014, Yingluk fu destituita da un colpo di stato di una giunta militare: il Consiglio nazionale per la pace e l’ordine guidato dal capo dell’esercito Prayut, che impose una serie di regole draconiane. Iniziò così anche l’iter dell’ex premier, che fu accusata di corruzione e di molti altri reati, per i quali si è sempre protestata innocente, puntando il dito contro un “sottile gioco poltiico”. In gioco, nella vicenda Shinawatra, non c’è solo il destino di Yingluk, ma quello della democrazia nel paese. La giunta ha promeso per il prossimo anno elezioni e il ritorno del potere nelle mani di un governo civile. Ma, anche prima della fuga di Yingluk, in pochi credevano che questa promessa sarebbe stata mantenuta. Oggi ancora meno.

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