Il richiamo alla “squadra” sta diventando un mantra per Matteo Renzi, una svolta impensabile fino a qualche tempo fa che il leader Pd accompagna però ad un appello: “Chiedo a tutti voi di uscire dalla modalità litigio. Ora siamo in campagna elettorale”. La svolta è evidente già dalla scelta di far salire sul palco tutti i ministri del Pd, il segretario democratico chiude la Festa dell’Unità a Imola omaggiando più volte “i ministri”, manda un saluto “affettuoso” a Walter Veltroni che fondò il Pd al Lingotto, celebra ripetutamente Marco Minniti, minimizzando anche i battibecchi con Graziano Delrio (“L’amalgama c’è, Minniti fa la destra e Delrio la sinistra…”). Un lavoro di ricucitura dei rapporti interni, accompagnato appunto dall’appello a fare “squadra” in vista del voto, ovviamente contro “i populismi”, per battere “barzellettieri e comici”. Le parole più dure, peraltro, non sono nemmeno per M5s o per il centrodestra ma per gli ex Pd, per Pier Luigi Bersani e i suoi confluiti in Mdp. “Ci hanno educato al fatto che le parole d’ordine erano collettivo, bandiera, ditta, e alla prima occasione hanno lasciato il collettivo, la bandiera e la ditta per un risentimento personale che non ha ragione di esistere”.
Sempre a loro, poi, si rivolge parlando del Def: “Leggo di qualcuno che vorrebbe smarcarsi dal voto sul Def… Un voto che serve agli italiani per evitare le clausole di salvaguardia, sarebbe assurdo che qualcuno giocasse contro”. Certo, le stoccate ai 5 stelle sono tante. “Non siamo dipendenti di un’azienda privata di software, non scegliamo il capo sulla base di un principio dinastico, se ne va il padre e arriva il figlio. Siamo la più grande comunità politica d’Europa, nessuno è come noi”. E poi: “Loro fanno votare 37 mila persone, noi due milioni…”. Cita come sempre le “scie chimiche”, le polemiche contro i vaccini dei “maestri della paura”, ironizza sui “tecnici della democrazia diretta che hanno organizzato una consultazione (per designare Luigi Di Maio candidato premier, ndr) che alcuni hanno definto una farsa. Ma la farsa nell’antica Grecia era una cosa seria”. Se la prende anche con la Lega che “ha portato i diamanti in Tanzania e comprato le lauree in Albania”. Per fermare tutto questo, avverte, c’è solo il Pd. Concede anche un’autocritica: “Non vi dico che sarà facile. Anzi, io troppo spesso l’ho fatta facile. Vi ho nascosto un po’ di sudore, un po’ di fatica. E forse, con il senno del giorno dopo, ho sbagliato”. Il punto è che “l’Italia si può cambiare. E se non la cambiamo noi, l’Italia non la cambia nessuno. O vincono i populisti o vinciamo noi”. E tanto per ribadire che ora bisogna stare tutti insieme aggiunge: “Avremo bisogno di sostenere con forza, nei prossimi mesi, l’impegno del governo guidato da Paolo Gentiloni. Questo non è un partito di singoli, è una squadra”.