La pasta del futuro? Innovativa e contaminata, ma sempre al dente

28 settembre 2017

La pasta è il prodotto italiano più conosciuto al mondo. Molto apprezzato nelle sue ricette tradizionali, spesso rivisitato, talvolta bistrattato, questo must della nostra tavola è protagonista in questi giorni di un campionato mondiale, il Barilla Pasta World Championship, che ha messo a confronto solo giovani chef di ristoranti stranieri, alcuni anche di origine italiana, che della cultura della pasta si fanno ambasciatori in tutto il mondo. Come Salvatore D’Alterio, il più grande di tre fratelli che nel 2014 si è trasferito a Sidney, dove ha aperto un ristorante omaggio alla sua terra d’origine: Isola d’Ischia. “E’ un rito, la pasta per noi è tutto specialmente all’estero quello che ci fa dialogare coi clienti e la cultura è la pasta”. In questi giorni Salvatore insieme ad altri 18 chef si sta giocando il titolo di campione del mondo della pasta, portando al giudizio di una scrupolosa giuria di assaggiatori esperti la propria idea di pasta del futuro, tema chiave di questa sesta edizione del campionato organizzato da Barilla. Così capita che la classica cacio e pepe incontri sapori esotici estranei alla nostra tradizione come nel piatto di Leonardo La Cava, personal chef in una famiglia a Miami: “La pasta ci rappresenta in tutto il mondo, è un modo per collegare culture diverse come nel mio piatti dove ho voluto collegare la mia città natale Roma dando un tocco nuovo col mango che è tipico di Miami dove vivo”.

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Anche nelle sue linguine Rock and Sea, Aniello La Mura, chef all’Arts club di Londra, proietta nel futuro uno dei nostri tipici primi piatti, unendo il ricordo della sua terra, Procida, a tecniche e strumenti innovativi: “E’ una pasta allo scoglio però guardata da una prospettiva diversa: ci ho messo la sabbia, il mare ho provato a unire l’impepata di cozze, la pasta al nero di seppia siciliana, il caciucco toscano. Il tema dell’evento è la modernità quindi ho detto nel futuro se uno vuole fare la pasta cotta a puntino basta cuocerla sotto vuoto la pasta”. Certo, all’estero non è sempre facile far passare la nostra idea di pasta, soprattutto in fatto di cottura: “Noi la facciamo sempre al dente e siamo giorno per giorno per farli abituare alla pasta al dente. Noi glie la diamo sia cotta come la vogliono loro sia come la mangiamo noi e loro provano la differenza quella è la soddisfazione più bella”. La cultura di un piatto di pasta ben cotto deve dunque viaggiare di pari passo con il successo della nostra pasta all’estero: grazie a una crescita del 25% negli ultimi 10 anni, oggi un piatto di pasta su quattro tra quelli serviti nel mondo parla italiano.

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