La rabbia di Rosario Crocetta è incontenibile. Ha la sensazione, il governatore uscente della Sicilia, che in questa tornata elettorale il sindaco di Palermo lo abbia fregato. “Sto nella coalizione che Leoluca Orlando ha proposto e dalla quale si è defilato”. E sbotta: “Ha messo due candidati in tutta la Sicilia. L’85 per cento dei candidati della lista Micari viene da me e dal Pd”. Per essere intellettualmente onesti, Crocetta, in questo caso ha ragione. Il paladino dell’antimafia gelese, infatti, aveva messo su una sua lista, ‘Megafono’, presente in tutte le province, creando una macchina da guerra per le elezioni regionali. Quanto basta per mettere i bastoni tra le ruote al Pd. E, questo, in barba a Matteo Renzi, in quanto essendo tesserato dem, Crocetta, era sceso in campo con una propria lista che, in realtà, rappresenta il suo partito. Era sceso, perché a quarantott’ore dalla scadenza della presentazione delle liste, il candidato del centrosinistra, Fabrizio Micari, si accorge che la sua lista “Micari presidente-Arcipelago” non ha iscritti sufficienti per aver il via libera. Da qui la “trappola” a Crocetta, il quale è stato costretto dal Pd (leggasi Orlando), a rinunciare alla propria lista, facendo confluire i propri candidati in quella di ‘Micari presidente-Arcipelago’.
La sensazione, ma questa volta è nostra, è che con un colpo solo, Orlando ha messo fuori gioco Crocetta e lo stesso Pd. Sensazioni a parte, alla luce dei fatti, la corsa alla presidenza della Regione Siciliana per i centristi di D’Alia, Ap di Alfano e lo stesso Pd di Renzi, appare più che in salita. A dire il vero, Matteo Renzi, ha sempre messo mani avanti sull’esito del 5 novembre. “Il voto per le Regionali in Sicilia non è uno stress test per le elezioni nazionali, non è un sondaggio per le politiche nazionali”. Non solo, ma Renzi ha fatto sempre il pilato sulla candidatura del rettore di Palermo: “Non è il candidato che ho scelto io o che è stato scelto da Roma”. Certo, un segretario di un grande partito nazionale, qual è il Pd, che scarica la responsabilità politica ai dirigenti locali, in una competizione elettorale come le Regionali in Sicilia, scatena più di una riflessione. Ma non è soltanto il Pd a non avere la netta convinzione sulla vittoria in Sicilia. I tanti agguerriti Cinquestelle, per esempio, che fino a qualche settimana fa davano quasi certa la poltrona di governatore a Giancarlo Cancelleri, ora frenano gli entusiasmi. E non è un big locale a mettere i piedi a terra, ma un pezzo da novanta come Alessandro di Battista. “Vincere in Sicilia è molto difficile. Obiettivamente è difficile quando ci sono centinaia di candidati contro”, afferma consapevole il deputato del M5s. Intanto, il centrodestra, con in testa il candidato governatore, Nello Musumeci, si prepara alla volata finale.