Orgoglio, reazione alle accuse di inseguire i populisti, difesa della linea su Bankitalia, ma anche due aperture significative: è un Matteo Renzi a due facce quello che conclude la conferenza programmatica al Museo ferroviario di Pietrarsa. In prima fila ci sono i big del partito, compresi Andrea Orlando, Dario Franceschini e Michele Emiliano che tante volte hanno criticato il leader in questi mesi ed è proprio a loro che Renzi, concludendo si rivolge, con una delle sue battute, ma per ribadire la svolta: “Nella prossima legislatura, cercheremo di fare da soli, da soli come coalizione, non voglio far prendere uno stranguglione alla prima fila”. E’ proprio questo il passaggio politico più rilevante, insieme ad una rassicurazione sulla questione della premiership: “Siamo una squadra, il problema non è chi di noi governerà nei prossimi anni, il problema è se ci saremo noi o se ci saranno gli altri”. Sono le aperture che da mesi chiedeva la minoranza ma anche parte della maggioranza del partito: un Pd che lavori a ricostruire il centrosinistra, senza veti neppure nei confronti di Mdp, e la disponibilità a mettere in discussione persino la leadership dell’alleanza e, quindi, l’eventuale poltrona di palazzo Chigi per la prossima legislatura, ammesso che il centrosinistra abbia i voti sufficienti.
Renzi lo dice chiaramente, il discorso può essere riaperto persino con chi ha lasciato il Pd solo pochi mesi fa, ovviamente a condizione che nessuno pretenda abiure. “Nessun insulto del passato per me costituisce ragione per mettere veti. Io i veti non li metto e chiedo al Pd di non mettere veti nei confronti di nessuno, perché pensiamo che non si viva di risentimenti o di rancore. Siamo in una totale, trasparente, disponibilità”. Chiaramente, avverte, i veti non possono essere messi a sinistra ma neanche verso il centro: “Non possiamo permetterci di chiudere l’alleanza senza avere uno sbocco al centro. E non possiamo permetterci di mettere veti alla nostra sinistra. Sapendo che non rinunciamo alle nostre idee”. Il leader Pd, però, reagisce anche alle accuse di inseguire il M5s arrivate dopo la mozione su Bankitalia. Parlare del sistema di vigilanza sulle banche o dei vitalizi, ha rivendicato, “non è populismo, è politica”. Anzi, è l’unica risposta possibile ai populisti. “Quando sento dire che certe prese di posizioni nostre sono ispirate dal populismo, lasciate che vi dica che l’unica alternativa al populismo è la politica. E ve lo dico partendo dalle banche e dai vitalizi”.
Renzi non risparmia una stoccata a Pietro Grasso: “Ho vissuto con grande dolore il fatto che il presidente del Senato abbia lasciato il gruppo del Pd, e noi non facciamo polemiche con la seconda carica dello Stato, ma non possiamo accettare che la fiducia sia un atto di violenza. Ridiamo importanza alle parole, come dice Nanni Moretti. Non è violenza la fiducia, non è eversiva una mozione parlamentare approvata col voto del governo. La violenza è quella che porta delle persone a esclamare inni fascisti nelle scuole, negli stadi”. Non manca il richiamo all’orgoglio di partito, l’invito a rivendicare le cose fatte: “Noi abbiamo fatto ripartire l’Italia”. Un discorso che riscuote molti applausi e che Franceschini commenta subito positivamente: “Dal discorso di Matteo Renzi una linea chiara su contenuti e alleanze per battere destre e populismi”. Il segnale, spera Renzi, che anche l’eventuale sconfitta in Sicilia non provocherà terremoti nel partito. Le mosse del segretario, del resto, mirano proprio a questo: ricompattare il partito alla vigilia della campagna elettorale, aprendo alle richieste arrivate nelle scorse settimane. L’altro grande tema sarà la formazione delle liste, ma su quello si entrerà nel vivo nelle prossime settimane.