Privilegi immortali. La casta esce indenne anche dalla XVIIesima legislatura. Indennità, stipendi, rimborsi, pensioni, vitalizi e prebende varie continuano a ingrassare i bilanci parlamentari (e i conti correnti). Agli italiani, le due Camere costano circa 1,5 miliardi di euro. Il che vuol dire gettare fumo sugli occhi quando si parla di sforbiciate da 10-20 milioni. E, ancor peggio, quando gli annunci (spesso) si trasformano in parole al vento. Tradotto in soldoni, gli Onorevoli di Montecitorio, soprattutto pungolati da ordini del giorno pentastellati, avevano proposto in Aula il dimezzamento degli 81 milioni per stipendi, la soppressione dei 2,2 milioni per l’indennità, l’abolizione di 200mila euro per spese di rappresentanza, l’eliminazione e la riforma dei vitalizi e pensioni privilegiate pari a 138 milioni, la rendicontazione dei 63 milioni per spese di esercizio mandato, la cancellazione dei 30 milioni per assegno fine mandato, l’azzeramento dei 10 milioni per i viaggi (treni e aerei) e il taglio del 20% dei 31 milioni destinati ai Fondi per i gruppi parlamentari. E potremmo andare avanti. Ma nulla è stato fatto. Proposte mandate alle ortiche. Cosa che vale pure per le cosiddette norme anti-casta. L’ultimo tormentone, il ddl Righetti. Migliaia e migliaia di pagine prodotte e passate da una serie di scrivanie parlamentari e da centinaia di burocrati, per poi la politica farne carta straccia. Ricordiamo che la norma che porta il nome del deputato dem, prevede il ricalcolo col sistema contributivo degli assegni maturati da ex parlamentari e consiglieri regionali, attualmente prodotti invece col retributivo. In sostanza, lo scorso luglio c’è stato l’ennesimo tentativo di abolire definitivamente i vitalizi parlamentari. E dopo una serie di giochi di palazzo, il ddl Richetti è riuscito a ottenere l’approvazione della Camera. Un via libera che, tuttavia, ha illuso ancora una volta l’opinione pubblica, in quanto la legge varata da Montecitorio s’è infranta tra le mura di Palazzo Madama. Quindi, ancora una volta, la battaglia sulla riforma degli assegni parlamentari e del ricalcolo dei vitalizi (già maturati per ex deputati e senatori e per i parlamentari di lungo corso) è finita ancor prima di cominciare. Per il Consiglio di presidenza del Senato, prima di andare avanti, bisogna aspettare che si definisca il contenzioso in corso alla Camera proprio sui vitalizi degli ex deputati, visto che è stata presentata una montagna di ricorsi. Ma, intanto, Palazzo Madama ha chiuso i battenti. Una Camera, il Senato, che quest’anno costerà ai contribuenti poco più di 550 milioni di euro: circa 310 milioni solo per il suo funzionamento; circa 233 milioni di euro per la spesa previdenziale per pagare i vitalizi agli ex senatori e le pensioni del personale in quiescenza. Il restante, varie e eventuali. Ma in parlamento non sono solo gli Onorevoli baciati dalla fortuna. Anche gli stipendi del personale sono onorevoli. E, ora ancor di più, grazie all’abbattimento dei cosiddetti “tetti”. E così alla Camera, nel 2018, per i circa 1.100 dipendenti (al Senato poco e più della metà) sono previsti 175 milioni di euro per le buste paga, 4,5 milioni in più rispetto al 2017, proprio perché la retribuzione di circa un dipendente su due non sarà più bloccata dal decreto Monti. Insomma, l’annosa questione dei vitalizi parlamentari è viva più che mai. E torna a riproporsi evidenziando una casta che vanta privilegi unici e per nulla paragonabili a quelli di moltissimi altri Paesi europei. A questo punto, non resta che sperare sulla XVIIIesima legislatura. Altro giro, altra corsa.