Takashi Murakami è una vera superstar nel sistema dell’arte contemporanea che però, nonostante l’estetica iper Pop dei suoi lavori, riveste le proprie opere anche di significati molto profondi. Palazzo Reale a Milano presenta ora la mostra “Il ciclo di Arhat”, curata da Francesco Bonami, che racconta un nuovo volto di Murakami che passa, nelle parole del critico italiano, dalla dimensione appiattita del “Superflat” dei primi anni Duemila a quella decisamente profonda del “Superdeep”, influenzato dalla storia recente del Giappone, e in particolare dalla tragedia di Fukushima, nella quale l’imponderabilità della Natura ha distrutto il frutto del progresso umano. Da questa riflessione, che non rinuncia ai colori sgargianti e a una tecnica curatissima, nascono i nuovi lavori che nella mostra milanese si concentrano su due tipologie: in primo luogo gli autoritratti nei quali l’artista si mostra in piedi su un corpo celeste e con una sorta di buco nero alle spalle. La serenità del volto dipinto trasmette, più che paura, il senso di una pacata inevitabilità. In secondo luogo ecco i colossali lavori ispirati alle figure religiose giapponesi degli Arhat, presenze che accompagnano il ciclo della vita in tutte le sue manifestazioni. L’estetica è brillante e apparentemente facile, ma il messaggio di Murakami punta all’universale.E in quest’ottica assume un’altra valenza anche l’ambivalente “Buddha ovale” che accoglie il pubblico all’ingresso della mostra con una sorta di mimesi plastica e vagamente minacciosa tra la cultura di massa più luccicante e il misticismo orientale.
[sz-youtube url=”http://youtu.be/iyWridaX8_8″ /]