I democratici hanno riconquistato la Camera dopo otto anni, i repubblicani hanno rafforzato la maggioranza in Senato. Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti hanno quindi sancito che il 116esimo sarà un Congresso diviso, dopo i due precedenti a maggioranza repubblicana. Un risultato che, a differenza di quanto si possa pensare, non va archiviato come un pareggio e nemmeno come una vittoria dei democratici, che hanno comunque ottenuto dei segnali positivi da cui ripartire, primi tra tutti la partecipazione popolare e la crescita di una nuova generazione di possibili leader: è stato, infatti, un successo del presidente Donald Trump.
Per analizzare il voto di ieri, non si può prescindere da un dato: nella storia del Paese, solo due presidenti hanno guadagnato seggi alle elezioni di metà mandato in entrambe le Camere. Ci riuscirono Franklin Delano Roosevelt nel 1934, durante la Grande Depressione, e George W. Bush nel 2002, dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Altro dato su cui riflettere in chiave 2020: recentemente, due presidenti democratici, Bill Clinton e Barack Obama, hanno facilmente ottenuto il secondo mandato, nonostante il voto di midterm li avesse puniti due anni prima. Trump, come probabilmente nessun altro presidente, ha diviso l’opinione pubblica e creato un fermento politico d’opposizione che si è manifestato attraverso le marce delle donne, il movimento #MeToo contro le molestie, la nascita di nuove star del partito democratico, l’affermazione di candidati che sono espressione delle minoranze, e che ha provocato un’affluenza record alle elezioni di metà mandato.
Tutto questo, però, non è bastato: l’onda blu che una parte del Paese si augurava per queste elezioni non c’è stata, al massimo “un’increspatura”, come ha commentato sarcasticamente Sarah Huckabee Sanders, la portavoce della Casa Bianca. Nel suo primo commento su Twitter, Trump ha parlato di “notte di straordinari successi”. Indubbiamente, il Congresso diviso peserà sulla governabilità del Paese. A vantaggio di chi? Probabilmente dello stesso Trump, che potrà agire nel territorio a lui più favorevole: quello dell’attacco frontale contro il nemico, i democratici, a cui addossare tutte le responsabilità di eventuali fallimenti e dello stallo in Congresso. Oggi, comincia la campagna elettorale di Trump per il 2020.
Trump resta molto forte nelle aree rurali e ha retto all’avanzata democratica in Stati che saranno decisivi alle presidenziali del 2020, secondo i calcoli del suo staff, come Florida e Ohio, che hanno eletto entrambi un governatore repubblicano. Inoltre, nel partito repubblicano, avanzano le figure sempre più ‘trumpiane’, come Ron DeSantis, che governerà la Florida: i repubblicani critici di Trump, o comunque più distanti dal suo modo di fare politica, sono quelli che più hanno sofferto in questo ciclo elettorale. Certo, la maggioranza democratica alla Camera darà il via a un periodo di indagini su Trump – grazie al controllo delle commissioni – in particolare sui suoi affari di famiglia, sulle sue dichiarazioni dei redditi, sulle sue eventuali collusioni con la Russia durante la scorsa campagna elettorale presidenziale. I democratici dovranno però essere in grado di offrire altro agli elettori, se vorranno riconquistare la Casa Bianca.